lunedì 8 settembre 2014

Serial Killers e pure cannibali!



Quando ti comparano uno scrittore inglese ad uno americano, di solito mille sono i pensieri che mi frullano per la testa. Il primo: sicuramente il romanzo inglese mi sarà più familiare. E non solo perché in quei posti ci sono stata. Non so, forse per colpa delle grandezze. In America tutto è non solo grande, ma enorme! Le strade, le città, i crimini. Tutto acquista una patina di "fantastico", forse per colpa della vastità, acuita poi dalla lontananza. La città in cui l'assassino uccide diventa un'intero stato, il tragitto in macchina diventa il volo in aereo, i due o tre omicidi diventano venti o trenta, il numero di poliziotti impiegati diventa il triplo e via così, fino a quando tutto diventa amplificato ed esotico. In genere, io preferisco la dimensione più familiare. Ma quando mi hanno comparato Val McDermin a Thomas Harris (quello de Il silenzio degli innocenti - 1988 -, per capirci), mi sono incuriosita e sono andata a cercarmi qualcosa di quest'ultimo. No, non Il silenzio degli innocenti , perché, prima di tutto, conosco bene il film. Raramente leggo un libro di cui ho già visto il film. E poi, Il silenzio degli innocenti non è nemmeno il primo romanzo a parlare di Lecter. Quindi, come al solito, sono andata alle origini: Red Dragon (1981).

Cosa dire?
Thomas Harris. Foto presa da randomhouse

La prima metà del romanzo: quante volte mi sono detta: ma vatti a vedere il film e molla questa noia! Almeno ti godi i momenti salienti e non ti subisci questa scrittura.
Frasi brevi, dialoghi serrati, talmente serrati che spesso non si capisce chi stia parlando, americano stretto (molte espressioni, specialmente nel dialogato, non mi sono familiari e le frasi brevi non aiutano a farsi un'idea del senso complessivo). Descrizioni  di un'indagine dettagliata, di cui poco capisco... uff.

La seconda parte del romanzo: il vero protagonista viene fuori ed allora tutto cambia. La narrazione si fa molto più intima, l'analisi psicologica e il racconto del divenire del protagonista sono estremamente convincenti e il libro corre verso il finale come in un sospiro mozzafiato.
E ad un certo punto, in alcuni passaggi, quello che sembrava un difetto (frasi brevi e fulminee), diventa il punto di forza.

Thomas Harris non è un tipico scrittore americano. Non sforna 2 o più romanzi all'anno e non dona lezioni di scrittura a giovani aspiranti. In una carriera di 30 anni, ha dato alle stampe cinque romanzi, di cui quattro vantano la presenza di Hannibal Lecter. A sentire Wikipedia, Stephen King dice di lui:
[Writings is] to Harris ... like "writhing on the floor in agonies of frustration", because, for Harris, "the very act of writing is a kind of torment".
[Lo scrivere] è per Harris come "cantorcersi sul pavimento in agonia e frustrazione", perché, per Harris, "lo stesso atto di scrivere è una specie di tormento".
Non ho difficoltà a crederlo. Il problema è che di tale tormento, di tanto in tanto, ne diviene partecipe anche il lettore che lo deve subire. Ma poi le idee, gli sviluppi e quei semini di genialità nella scrittura che di tanto in tanto escono fuori, ripagano della fatica.

Naturalmente Red Dragon è stato riadattato per lo schermo. E non solo una volta. Il primo film uscì nel 1986 con il titolo di Manhunter. Un film che per la prima parte si mantiene abbastanza fedele al romanzo, ma che nella seconda ignora molti dettagli della storia e semplifica il tutto, quasi banalizzandolo. Per non parlare della fine ritrasformata (sigh!) e della colonna sonora molto anni '80. Ma quest'ultimo difetto glielo perdoniamo, visto che non si può chiedere ad un film degli anni '80 di essere meno anni '80.

Il secondo, Red Dragon del 2002, esce dopo Il silenzio degli innocenti e, naturalmente, visto il successo del dottor Hannibal Lecter, ci tiene ad esaltarne il ruolo. Lo fa, tuttavia, con discrezione, amplificando appena un poco l'importanza che il cannibale in gabbia ha nella cattura del Red Dragon e aggiungendo dettagli che sottolineano la sua predilezione per la carne umana, appetito che nel libro viene appena accennato in particolari più indiretti che manifesti*. A parte questa lieve divergenza, il film si mantiene davvero fedele per quasi tutto il tempo, tanto che i dialoghi, il vero punto di forza del romanzo, sono presi così come sono. L'unica cosa che un po' mi ha fatto storcere la bocca è stato il finale, l'unico vero momento in cui gli sceneggiatori si prendono un po' di libertà. Per fortuna in modo lieve, ma comunque qualcosa cambia e il tutto si sbilancia verso un più che lieto fine, mentre nel romanzo il lieto fine resta privo del "più".

Ma non sostiamo troppo sul dettaglio finale, ricordiamoci il cast non proprio da quattro soldi (Vabbe', Hannibal è naturalmente Anthony Hopkins; il detective è interpretato da  Edward Norton, quello di Fight club del 1999, e Red Dragon da uno stupendo Ralph Fiennes, quello di Onegin del 1999, ma forse più famoso per Il paziente inglese - 1996) e la suspance ben giostrata per tutto lo sviluppo del film ed ecco che, per uno che ama il genere, la sua visione è d'obbligo. Ma, ancora una volta, dopo aver letto il libro, naturalmente. Perché, è vero, è molto fedele, ma le sfumature e la tragicità dei personaggi non possono essere resi in pellicola con la stessa intensità del romanzo.

E, come spesso mi accade ultimamente, mi chiedo: perché il cinema sente così spesso il bisogno di stravolgere i finali dei romanzi?
Mah, interrogativo che non riesco a risolvere, se non ipotizzando che, non potendo rendere completamente l'atmosfera e le sottigliezze psicologiche come la parola riesce a fare, si cerca di buttarla nel sensazionale, nella scena d'azione o di commozione che accontenta un po' tutti. Tranne colui - o colei - che prima si era andato a leggere il romanzo da cui il film è tratto. Ma che ci vogliamo fare?

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* A proposito di manie e gusti gastronomici: lo sapete cosa legge Hannibal Lecter quando il buon detective Graham va a trovarlo in carcere?
Le Grand Dictionnaire de Cuisine, Alexandre Dumas padre, 1873. Lo so, non vi dice nulla. Eppure ne avevamo già parlato a Natale, ricordate?
E ancora una volta, mi meraviglio di come le mie letture trovino riverberi le une nelle altre.


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