giovedì 28 agosto 2014

Stacchetto floreale




Ve lo avevo promesso due post fa, questo stacchetto, e finalmente è arrivato. Lo sapete ormai: sono una chiacchierona e mi piace divagare. ;)

Ma torniamo seri, torniamo alla primula. Dite la verità, non sapreste riconoscere una primula da un croco, vero?
Beh, confesso che anche io sono andata a cercarmi una foto e quando l'ho vista, mi sono detta, battendomi la testa (ma non al muro, sia ben chiaro): "Aaaaaaah! È questa la primula!"

Eccola qui, la primula rossa, quella che cresce ai bordi delle strade appena la neve si scioglie o la primavera fa capolino:


E se non avete presente neanche il croco:


Se lo trovate in giro, però, diffidate di questo fiorellino: Wikipedia dice che se ingerito è molto velenoso e se annusato provoca forti mal di testa.
Eppure sembra così innocuo, così delicato, quando lo trovate ai cigli dei sentieri di montagna, a far capolino tra la neve.
Per fortuna a me non piace raccoglierli, i fiori. Sai quanti mal di testa mi sono risparmiata! :D



domenica 24 agosto 2014

La primula in tv




We seek him here, we seek him there,
Those Frenchies seek him everywhere.
Is he in heaven? — Is he in hell?
That damned, elusive Pimpernel
Lo cerchiamo qui, lo cerchiamo lì,
Questi francesotti lo cercano ovunque.
Che sia in cielo? - Che sia all'inferno?
Quella dannata, sfuggente Primula.

Perdonate, non ho saputo resistere alla tentazione di mettercelo anch'io, il ritornello che lo stesso Sir Blakeney compone in onore della Primula rossa.

Il brano è tratto dal film La primula rossa del 1982. Non è il primo film a trattare l'eroe della Baronessa. Prima di lui c'è stata una versione del 1934, con Leslie Howard nei panni dell'eroe e Merle Oberon quale sua sposa.

Questa prima opera cinematografica riprende più o meno fedelmente la trama del romanzo e offre spunti di ispirazione al lavoro del 1982, quello da cui ho ripreso la filastrocca. Personaggi di questa produzione più recente sono Anthony Andrews e Jane Seymour. 

Infine, nel 1999 è la BBC che rielabora la trama e la riadatta per lo schermo in una mini serie tv che raccoglie anche altre storie della Primula rossa. Protagonisti sono Richard E. Grant e Elizabeth McGovern.

La versione del '34 è la più fedele delle tre, nonostante non resista alla tentazione di modificare il finale in favore di un duello e un po' d'azione. Naturalmente stiamo parlando di un film del '34, in cui gli attori hanno una evidente impostazione teatrale (sguardo vitreo e gesti maestosi) e la musica ha un ruolo davvero stringato, quasi assente. Il tutto non fa altro che aumentare la percezione di lentezza.

  
Versione del 1999.
Il lavoro dell'82 riprende molti spunti del film del '34, compresa la scena del duello finale. In più, la narrazione risulta ampliata, facendo partire il racconto da ciò che nel romanzo è trattato come flash back, ossia l'incontro tra Sir Blakeney e la futura lady Blakeney, il loro innamoramento e il matrimonio fino alle incomprensioni e al raffreddamento del loro rapporto. 

Arriva poi la versione della BBC. Come sempre, i prodotti della BBC sono notevoli, con la loro ricercatezza nel dettaglio e la fotografia suggestiva. Tuttavia, molte sono le licenze che gli sceneggiatori si sono presi e anche loro non si distaccano dalla scena del duello finale, quella introdottata dal film del '34.

Di tutte e tre le versioni, quella che forza di più il carattere insulso di Sir Blakeney fin quasi a farlo divenire ridicolo è quella dell'82. E questa è anche quella che stravolge di più il filo narrativo del romanzo, apportando alla narrazione una sequenzialità temporale più lineare, ma anche meno intrigante.
Nonostante ciò, è questa che mi è piaciuta di più. Credo che il merito sia soprattutto di Anthony Andrews: accanto ad una Lady Blakeney dallo sguardo vitreo da bambola di porcellana, la sua espressività riesce a dar vita perfettamente al dramma del vero Sir Blakeney.
A questo punto avrei voluto mostrarvi un piccolo estratto, ma appena dopo la recitazione di Andrews veniva infilata anche una canzone del musical e, devo dire, non me la sono sentita di propinarvela. Diciamo che il musical lo menziono appena, giusto per la cronaca: Frank Wildhorn ne cura la musica, Nan Knighton i testi e viene mandato in scena dal 1997 al 2000 a Brodway. Ascoltate un paio di canzoni, ho steso un velo pietoso e ho continuato per la mia strada.

Come è evidente, per decenni La primula rossa ha infiammato la fantasia di molti e ha dato spunto anche a produzioni meno seriose, quando non proprio comiche. No, non mi riferisco al musical citato sopra, ma al lavoro di Renato Rascel, ad esempio.


Io sono la Primula Rossa - Il Sanculotto, 1955.
Questo non l'ho visto, ma presumo che non tratti l'argomento in modo troppo serio.

Insomma, se vi va di immergervi non tanto nella lettura, quanto nella visione della Primula rossa, si ha solo l'imbarazzo della scelta.
Un unico avvertimento: il finale, come ho detto fino alla nausea, viene modificato in tutti i surrogati televisivi. Secondo me, è un peccato. Io ho apprezzato l'originale. Quindi non sto insinuando che prima di vedere un qualche film della Primula sia meglio leggere il romanzo, ma certo la cosa non farebbe male.
E non fate i furbetti, non andate a leggervi l'ultimo capitolo per scoprire come finisce, perché tanto non credo ci capireste molto. :D




giovedì 21 agosto 2014

La Primula rossa: supereroe senza super poteri


The scarlet pimpernel fece la sua prima comparsa come opera teatrale nel 1903 al Theatre Royal di Nottingham, ma all'epoca non ebbe successo. Dopo aver subìto una rielaborazione e un cambio di finale, la Baronessa ci riprovò. Questa volta fu riproposto nel 1905 a Londra, al New Theatre, e qui, finalmente, ebbe l'apprezzamento che poi lo rese immortale.

Perché tanto successo?

Molti vi diranno che affascina per il prototipo dell'eroe mascherato alla Zorro e alla Batman. Ed è vero, in parte. La Primula rossa fu il primo di tutta una serie di eroi moderni con caratteristiche ben marcate: sono mascherati, lottano contro i sopprusi, hanno una doppia identità spesso antitetica. A loro modo, sono dei supereroi senza super poteri. E forse per questo risultano ancor più accattivanti.

Lord Blakeney risponde quasi fedelmente a questo ritratto. Quasi, perché è vero, lui fu il primo paladino misterioso, ma non mascherato. Si traveste in mille guise, ma non ha un costume caratteristico: niente mantelli o maschere sul volto.
Sono altri gli eroi della Baronessa che indossano la maschera: Leatherface e Beau Brocade, ad esempio, che seguono di qualche anno l'apparizione della Primula rossa. Loro sono i primi paladini della letteratura moderna a celare la loro identità grazie ad un camuffamento che diventa marca distintiva del personaggio.

La Primula rossa difende i deboli in pericolo. Che poi questi deboli corrispondano per lo più ai rappresentanti della nobiltà francese a cui il popolo abbrutito vuole staccare la testa, non diminuisce la bellezza dell'atto eroico del protagonista. Certo, fanno meno simpatia dei poveri che muoiono di fame, loro, con i loro vezzi e i loro pregiudizi di classe. Ma sempre deboli sono, e questo rende onore alla Primula e ai suoi seguaci.
Ancora una volta, sono gli altri protagonisti mascherati della Baronessa che difendono i deboli e i poveri tradizionalmente intesi. In particolare, Beau Brocade, la rivisitazione del Robin Hood di Dumas, si assume, tra gli altri, il compito di proteggere le vedove e gli orfani dall'avarizia del nobile di turno.

Un'altra cosa che affascina della Primula è il contrasto perfetto tra le due facce dello stesso uomo: il nobile dandy di grandi fortune che fa ridere tutta la corte inglese e dispensa lezioni di buon gusto, flemmatico e pigro, considerato addirittura sciocco e tonto, fa da perfetto contrappunto all'eroe dalla mente sveglia e ingegnosa.
Di tanto in tanto, l'uomo d'azione fa delle brevi incursioni nella vita del dandy. Indovinate, voi, in quali frangenti? Ma certo, quando proprio non riesce a tenere repressa la sua passione per la bella moglie che, naturalmente, viene tenuta a distanza per vari motivi. Ed ecco qua che si inserisce la solita storia d'amore. Solita per modo di dire, perché anche la relazione tra Lord Blakeney e la sua consorte è particolare. All'inizio c'è un matrimonio felice: lui mosso da una profonda passione, lei da una fascinazione per l'ardore con cui si era sentita adorare che, sebbene non proprio amore, aveva una sua giustificazione. Poi i soliti malintesi che guastano la serena unione. Nel corso dell'avventura, la bella Lady Blakeney ne combinerà di belle, mettendo a rischio la vita di gran quantità di gente, fino, poi, a maturare e a trasformare quel suo amore superficiale in un vero e profondo sentimento. Ok, il fatto che il suo amante si rivelasse un supereroe aiuta, o no? In ogni caso, vedete come il personaggio acquista tridimensionalità? Grazie a queste convincenti sottigliezze psicologiche.

   
Ed. del 1908. Imm. ripresa da Wiki.
Ma adesso sto divagando. Torniamo un attimo a Lord Blakeney. Se accostato agli altri eroi della Baronessa, ci si rende conto che tutti loro sono caratterizzati da tratti comuni. Uno di questi è il profilo "dandy". Molle, raffinato, detentore di buon gusto, è questa una delle qualità che lo elevano rispetto alla massa, insieme al coraggio senza frontiere e l'abilità nel combattimento. In Blakeney, è spesso rimarcato: lui detta legge sul gusto della società inglese e l'elogio al cravattino è l'apice della sua perfetta dialettica estetica. Negli altri eroi della Baronessa, l'elevazione del gusto e lo spirito esteta nobilita quasi più che non l'appartenenza del sangue alla casta. Così, Beau Brocade viene soprannominato in questo modo a causa dei suoi preziosi abiti e del suo stile, sempre impeccabile, che cozza non poco con il suo modo di vivere: sua dimora è la brughiera, il suo letto il manto erboso, il suo tetto sono le stelle e il suo mestiere è quello del brigante ricercato. Che cosa ci azzecca un soprabito di broccato con ricami di alto pregio, il cravattino sempre piegato e stirato e il suo vezzo di ammirare i merletti della camicia? Nulla, ma è segno dei gusti nobili che si contrappone all'incapacità di apprezzare il bello della massa comune.
Anche Lord Eglinton, il personaggio di The Petticoat government, è un Beau nel suo ambiente.

Ma, allora, in visione di tutta questa chiacchierata, è giusto dare il titolo di primo supereroe mascherato alla sola Primula rossa?
Mhhh... Forse sarebbe più corretto dire che a fare da modello al supereroe senza super poteri, tanto popolare al giorno d'oggi, è stato non solo lui, ma l'eroe tipo della Baronessa Orczy, quello che si ripete, anche se trasformandosi di volta in volta, in molti dei suoi romanzi.

Prima di passare allo stacchetto, aggiungo solo una nota riguardo al sequel infinito della Primula. I romanzi che parlano direttamente o indirettamente si lui sono almeno una ventina, scritti in un lunghissimo arco di tempo e senza rispettare una sequenza temporale. Di questi, io ho letto solo I will repay (1906) e devo dire che sono rimasta davvero delusa. Quindi, se per caso vi siete letti La primula rossa e ora vi state quasi convincendo a spulciarne un altro della stessa serie, io vi ho avvertito, non garantisco.
;)

domenica 17 agosto 2014

Il ruolo del narratore



Un giovane scrittore alle prese con i suoi primi studi sulla scrittura e i mille suggerimenti che un po' tutti si sentono in dovere di elargire, spesso si trova ad affrontare il dogma del: "ridurre al minimo la distanza tra lettura e lettore". Costringiamo il lettore ad immedesimarsi nella storia, perché questo è il modo migliore per tenerlo incollato al romanzo. Eliminiamo quindi il più possibile la voce del narratore, cancelliamo la sua prensenza. Questo dovrebbe assicurare la completa attenzione e devozione del lettore alla storia.

Così, bandiamo l'uso di D'Annunzio di quei suoi "quasi direi" inseriti nella narrazione:
Ed ella aveva appunto le estremità un po' correggesche (= alla maniera della Danae del Correggio), le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arborei come nella statua di Dafne...
Danae del Correggio,1531-32 c. Immagine di Wikipedia
Questo è tratto da Il piacere (1889). E, tanto per ricordarlo, Il piacere è scritto in terza persona e quel "quasi direi" è evidentemente proferito dal narratore.

Altrettanto bandita è anche la bonaria voce del narratore che si intrufola ovunque nella narrazione di Dumas. Ne Il tulipano nero (un altro romanzo nato dalla collaborazione con Maquet, 1850) non solo la voce narrante dispensa giudizi in merito agli accadimenti storici dell'epoca (siamo nelle Fiandre del XVI sec., pochi anni prima della rivolta di Gend, quella raccontata dalla Baronessa in Leatherface), ma dialoga allegramente col lettore:
Cornélius ne savait point ce qui s'était passé à Harlem, et nous le laisserons dans cette ignorance jusqu'à ce qu'il en soit tiré par les événements.
Mais il ne peut pas en être de même du lecteur, qui a le droit d'être mis au courant des choses, même avant notre héros.
Cornelius non sapeva affatto ciò che accadeva ad Harlem e noi lo lasceremo in questa sua ignoranza fino a quando gli avvenimenti lo trarranno fuori da essa.
Ma lo stesso non può succedere al lettore, che ha il diritto di essere messo al corrente degli avvenimenti, persino prima che lo sia il nostro eroe.
Grazie, narratore del Tulipano nero! Non avremmo proprio avuto la pazienza di sopportare i tormenti dell'incertezza seduti a mordicchiarci le unghie accanto al prigioniero Cornelius.

A proposito, se per voi, come lo era per me, il tulipano nero è legato alla storia del cartone animato giapponese:


disilludetevi: il romanzo di Dumas non parla di eroi mascherati o di fanciulle alla corte di re francesi. Parla invece di sapienti floricoltori e di... tulipani neri, appunto. E ricorda, in parte, la storia del prigioniero più famoso di Dumas, Edmond Dantès, carcerato anche lui ingiustamente per una denuncia di invidiosi rivali.

Ma torniamo alla voce narrante.
In mio parere, la voce narrante di Dumas è estremamente piacevole e, sebbene faccia proprio il contrario di quello che al giorno d'oggi dovrebbe fare - eclissarsi e scomparire nel nulla dietro alla storia - la sua presenza mi rassicura, mi fa quasi sentire come una bambina guidata per mano da una voce amichevole e pacata.

E la Baronessa, visto che si parlava di lei?
Eh, anche lei si lascia andare a giudizi storici e anche lei parla col lettore. Ma, come dicevo nel post scorso, lei è una femminuccia e spesso, troppo spesso, si lascia andare al sentimento, alla drammatizzazione.
Sempre pronta a difendere la classe nobiliare, quella antica e infatuata dai valori cavallereschi che a volte viene minacciata da oppressori stranieri, come in Leatherface, e a volte dal popolame gretto e regicida, come in La primula rossa, la Baronessa sembra voler affermare la dignità di una classe sociale ormai in rovina e di cui lei stessa si sente un'orfana.

La baronessa a 13 anni. Da blakeneymanor
Ricordiamoci che lei deriva da una famiglia nobile ungherese. Il padre, un "sovrano illuminato", aveva intenzione di portare grandi innovazioni nelle sue tenute. Ma il "popolo" - braccianti e contadini locali - impauriti dalle sue idee rivoluzionarie riguardo a nuove tecnologie, incendiarono la tenuta e decretarono la fine delle grandi rivoluzioni del barone suo padre. Questo episodio segnò la vita dell'intera famiglia che si ritrovò prima a Budapest e poi in Francia e infine in Inghilterra: una nobiltà sradicata, che la Orczy ricostruisce nei suoi romanzi circondandola di un alone mitico e identificandola con la nobiltà inglese.

Beh, visti i precedenti della sua infanzia, un pochino ci sta la sua sfegatata partigianeria per gli eroi di una nobiltà romanzata ed anche un po' astorica, se vogliamo.

La prepotenza della voce narrante, quella che dispensa giudizi e inclinazioni partigiane, si aggiunge ai  tanti difetti a cui accennavo nel post precendete, insieme a quelli delle ripetizioni gratuite e dei ripensamenti infiniti dell'eroina.

In alcuni romanzi questi difetti sono più presenti, ripetuti con maggior testardaggine e per questo la storia non riesce a coinvolgere. Ma in altri, l'inventiva e la caratterizzazione dei personaggi sgomina il senso di pesantezza e anche se alcune debolezze persistono, uno se ne dimentica volentieri. Come nel caso de La Primula rossa.

Ma di lei, della famigerata primula, parleremo la prossima volta, con calma.




lunedì 11 agosto 2014

La Baronessa Orczy



Finalmente, come promesso, siamo arrivati a toccare altri lidi, altre corti, altre epoche. Siamo arrivati fino agli albori del secolo scorso, non tanto per ascoltare storie di casate novecentesche, ma per saltellare un'altra volta indietro nei secoli. L'autore che ci ricatapulta a spasso nel tempo è questa signora:

è
Ritratto della Baronessa Emma Orczi, Bassano.


La baronessa Emma Orczy, nata nel 1865 e morta nel 1947, autrice di una serie di romanzetti storici che possiedono notevoli pregi, accanto ad altrettanti difetti.

Non vi dice ancora niente il suo nome? Beh, associamolo a La primula rossa (1905), ed ecco che qualcosa inevitabilmente vi tornerà alla memoria.
Ma prima di parlare del suo capolavoro, voglio parlare un po' di quello che mi ha stuzzicato nella lettura delle sue opere.

Ho iniziato con Petticoat government (1910), conosciuto come Petticoat rule in America, e sconosciuto in  Italia. Come l'ho trovato io? Al solito modo: per caso. Vai su Project Gutenberg, sfogli i titoli dell'autore che non sai nemmeno tu come ti è saltato all'improvviso in mente, leggi un titolo strambo, improponibile, quasi ridicolo e, visto che quel giorno ti senti un po' così, lo scarichi e lo leggiucchi. O lo divori. Dipende dal tempo, o dallo stato d'animo o da piccoli particolari senza importanza sparsi nel romanzo, come il fatto che tra le sue righe riecheggiano riverberi di altre letture.
Esempio?
La Gavotta che risuona nelle stanze da ballo. Non la gavotte di Rameau che Andrea Sperelli e donna Maria Ferres amavano ascoltare, ma quella di Lully, probabilmente ballata così:




E, poi, le ambientazioni, le epoche storiche. È evidente, la baronessa ha letto ed ammirato Dumas. Perché magari non subito, ma dopo un paio di romanzi presi a caso, risulta chiaro che i suoi racconti ripercorrono gli ambienti, i paesi e persino le epoche delle opere di Dumas. Così, ancora una volta siamo sbalzati nelle corti dei vari Luigi (in questo caso XV) o nell'Olanda ai tempi di Guiglielmo d'Orange.

Ma diamo un'occhiata ai titoli per convincercene: Leatherface (Faccia di cuoio - 1916) che ricorda un po' la maschera di ferro (Il conte di Bragelonne, 1848); La primula rossa, 1905, che rimanda a Il tulipano nero, 1850. Titoli che si richiamano l'un l'altro, sebbene solo superficialmente, perchè poi, le storie, a parte forse qualche spunto, si sviluppano in modi diversi. E persino Beau Bracade (1907), quello che sembra il più dipendente dal suo doppio Robin Hood (1863), ma anche dallo scanzonato D'Artagnan con le sue risse spadaccine, persino lui, dicevo, si rivela poi possessore di un carattere e uno sviluppo tutto suo.

Insomma, viene la tentazione di affermare che la baronessa non è altri che un Dumas al femminile. Questo basterebbe a far capire che cosa aspettarsi da un'opera della Orczy.

Prima di tutto, ci sono sempre due piani narrativi: la scena storica con i personaggi ripresi dalla cronaca del tempo e il proscenio, su cui i protagonisti, anche loro parte della scena, si distaccano da essa e vivono in parallelo una dimensione più interiore: la storia dell'innamoramento.
Troviamo, allora, il grande conflitto politico, le cospirazioni, gli intrighi e i malintesi storici; e troviamo, in primo piano, personaggi ad uno stesso tempo protagonisti degli eventi, ma anche della loro storia privata che, inevitabilmente, è storia d'amore.

Il contesto storico non è analizzato in profondità e i suoi personaggi, spesso antagonisti degli eroi, sono figurine piatte. Ma quando passiamo al piano della storia "intima", i caratteri principali si delineano in tutt'altro modo, acquisendo una loro complessa dimensione che stride fortemente con la caratterizzazione degli antagonisti.
Così, in Petticoat Government, al re Luigi XV, avido e sempre alla ricerca di divertimenti sfarzosi che  allevino l'eterna noia, si contrappone un marchese di Eglington, uomo all'apparenza succube della madre e della moglie, creduto pavido e influenzabile, dalle risorse interiori insospettate. Alla Pompadour, amante del re civettuola e astuta, si contrappone la figlia del primo ministro Lydie d'Aumont, donna dalla grande sagacia politica, sempre padrona di se stessa ed estremamente orgogliosa. Nel corso della storia, i personaggi principali matureranno, e grazie a questa crescita, non solo sconfiggeranno il nemico esteriore, ma supereranno anche la loro incapacità di comunicare.

Copertina della prima edizione. Presa da yesterdaysgallery
Lo schema dei personaggi fulgidi in primo piano che si contrappongono ai personaggi bidimensionali storici  in secondo piano si ripete spesso nei romanzi della Baronessa, come anche lo schema dell'innamoramento (lui e lei si ritrovano legati, lei disprezza, lui sembra indegno del suo amore, fino a quando le convinzioni di una o di entrambi si ribaltano e da un'unione forzata nasce il vero amore).

In Leatherface la bella spagnola di elevata estrazione sociale viene costretta a sposare il figlio del borgomastro allo scopo di insediarsi come spia nel seno di uno dei focolai della ribellione nelle Fiandre  Orangiste del XVI sec. Il giovane suo sposo è considerato un nullafacente, un ubriacone che passa le sue giornate in taverna a bere alla salute delle soldatesche spagnole che non disdegnano abbandonarsi ai bagordi in sua compagnia.
Naturalmente si scoprirà che il nullafacente non è altri che l'eroe mascherato che fa da guardia del corpo a  Guglielmo d'Orange. Lo stesso eroe che poi si ritroverà a guidare la rivolta di Gand.
Insomma, il tipico eroe, senza macchia e senza paura. Eppure, la cosa che colpisce maggiormente la fantasia di una lettrice a caso - cioè la mia - non è la figura dell'eroe mascherato. Quella, in un certo senso, appiattisce il personaggio sullo sfondo e lo rende simile alle figure storiche che fanno da coreografia. In questa prospettiva, l'eroe è come al solito coraggioso, pronto al sacrificio, dotato di forza sovrumana. Si riduce anche lui ad un personaggio bidimensionale. Ma quando, invece, si toglie la maschera e si pone in primo piano come protagonista della storia intima, lo stesso uomo inizia davvero a vivere: i piccoli gesti, il suo modo di parlare, di muoversi, di guardare, tutti questi particolari lo rendono estremamente credibile.

Anche in Beau Brocade, il Robin Hood della Baronessa, il protagonista risalta per il suo particolare modo di ridere, per la sua eccentrica inclinazione alla ricercatezza nel vestire, per una sorta di "pazzia" che ricorda un poco la furia amorosa di un personaggio a noi conosciuto:
"But if I refuse?"
"An you refuse," he said, bending the knee before her, and bowing humbly at her feet, "I will entreat you on my knees..."
"And if I still refuse?" she murmured.
"Then will I uproot the trees, break the carriage that bears you away, tear up the Heath and murder yon knaves! God in heaven only knows what I would not do an you refuse."
"Ma se rifiutassi?"
"Se voi rifiutaste," disse lui, inginocchiandosi davanti a lei e inchinandosi umilmente ai suoi piedi, "Vi pregherò in ginocchio..."
"E se io rifiutassi ancora?" mormorò lei.
"Allora sradicherò gli alberi, farò a pezzi la carrozza che vi porta via, distruggerò la Brughiera e ucciderò qualsiasi furfante (mi capiti a tiro)! Solo Dio che è nei cieli sa cosa non farei se voi rifiutaste."
Non sembra minacciare di diventare un Orlando furioso? E si parla di concedergli un giro di ballo nella brughiera isolata, al chiaro di luna! Mica uno normale, questo tizio!

Non nasconderò che ho divorato tre romanzi della Baronessa in pochi giorni chiedendomi, ogni singola sera, il perché mi prendessero nonostante gli enormi difetti. Almeno la metà dei personaggi, come visto, non ha rilevanza psicologica, l'innamoramento tra i due si ripete sempre con gli stessi sotterfugi (Lei: sono costretta a sposarti - non sei degno del mio amore - sto facendo un errore enorme che mi dannerà, ma non ti chiedo aiuto perché, ancora una volta, non sei degno della mia fiducia - Ops... forse un po' degno lo sei. Anzi, no! Sei proprio degno! - E vissero tutti felici e contenti. :D); in più, capita a volte che il rimunginare delle eroine diventi pesantemente lento e inciampi su ripetizioni infinite.

E allora perché mi sono letta in sequenza: Petticoat Government, Leatherface, Beau Brocade e persino La primula rossa?
Perché sono femminuccia. :)
Ma non solo.
Credo sia la maniera della Baronessa di raccontare una stessa storia - che poi risulta accattivante, concediamoglielo - trasformandola ogni volta nella storia particolare di "persone" differenti. Diventa affascinante cogliere i piccoli gesti quotidiani di eroi non stereotipati e monotoni nel loro ruolo di integerrimi paladini, ma resi umani da atteggiamenti e comportamenti perfettamente realistici.

Illustrazione della favola La bella e la bestia,
Anne Anderson (1874-1931). Ripresa da Wikipedia.
È come ritrovarsi a leggere la bella e la bestia in uno di quei libri per bambini: non quelli con le immagini piatte, ma con i paesaggi e le scene che si aprono e diventano tridimensionali. La bestia e la bella si comporteranno sempre nello stesso modo, ma la profondità che li decora rende la lettura affascinante e sempre nuova, con le sue mille sfumatura di chiaroscuro.

A proposito, ve lo avevo detto che "La bella e la bestia" è la mia favola preferita? Forse è per questo che la Baronessa mi ha conquistata.

Non pensate, adesso, di aver finito con la Baronessa. Ci sono altre cose da dire sulla sua scrittura e sui suoi romanzi. Ma noi non abbiamo fretta, vero?
Al prossimo post. :)



sabato 9 agosto 2014

Stacchetto pupettaro



Parlando di Orlando e Rolando e paladini della cristianità, non si può passare sotto silenzio la tradizione dei pupi siciliani. Tradizione dichiarata come facente parte dei Patrimoni Orali e Immateriali dell'Umanità nel 2008 dall'Unesco, credevo falsamente che risalisse ad epoche poco meno che medievali. Ed invece scopro che risale appena al XIX secolo.
Tra le mie false convinzioni c'era anche quella che fosse una specie di teatrino di strada che si rifacesse in modo vago alle gesta di Roland, salvo poi scoprire che le rappresentazioni avvengono in teatri veri e propri e che i pupari spesso rappresentavano brani di opere come l'Orlando furioso o La chanson de Roland, conosciuti da loro a memoria, sebbene non sapessero leggere. Pensavo anche ai pupi come una sorta di marionette alla pulcinella, forse un po' più curati e abbelliti, ma pur sempre rigidi e goffi. Ed invece...

Guardate un po':




Ecco qua, se vi capita di passare dalle parti di Siracusa, una tappa al teatro dei pupi si rende necessaria. Prima che questa ultima tradizione orale scompaia anche lei nel dimenticatoio dell'era tecnologica.


mercoledì 6 agosto 2014

Orlando e Ronn Moss






Questo è ripreso da I paladini - Storia d'armi e d'amori, film del 1983 diretto da Giacomo Battiato. Bellissimi i volti, la musica, la scena. Purtroppo il video è stato tagliato prima che il bambino chiedesse all'uomo:
- Is he a Christian or a Moor?
- What's the difference?
Risponde l'uomo.
Ammettiamolo: è un film datato, è lento, è cruento, è estremamente anni '80, ma già questo minimo dialogo tra padre e figlio fa capire che gli sceneggiatori hanno capito lo spirito dell'Orlando. Più o meno.
Ci sono scene crude come nell'Orlando (quante volte i vari paladini vengono falciati da un fendente che tronca le loro teste dal capo al collo?), scene violente su donne (quanti cercano di violentare Angelica?). E quanti cavallieri bellocci infestano le schiere dei mori, così come quelle dei cristiani? Ed è proprio vero, sapere se sono dell'una o dell'altra fazione non fa differenza: tutti sono forti, coraggiosi, impavidi e, soprattutto, loro stessi non stanno a guardare molto lo schieramento in cui si ritrovano. L'unica cosa importante non è la fede, ma l'onore, il valore e la virtù. E ogni volta che incontrano qualche depositario di questi santi valori, loro non si fermano a pensare "è nemico o amico?", ma lo accolgono da pari a pari.

Nonostante queste premesse, devo ammettere che sono stata sconfitta dalla lentezza e anche dalla piattezza di alcune scene. Sono arrivata a metà e poi mi sono arresa. Rimpiangendo un po' il bel Ruggero, lo ammetto, perché il giovane Ronn Moss, lontano ancora dalle scene improponibili di Beautiful, faceva la sua bella figura nella veste del paladino saraceno.

Se vi capita, dategli uno sguardo. Magari a qualcuno piacerà. Sul web ho trovato un paio di tizi anglofoni che sembravano particolarmente esaltati dal prodotto. Dubito che sapessero che la storia era stata raccontata per la prima volta in un poema italiano cinquecentesco. Chissà se conoscere l'Orlando originale avrebbe cambiato in qualche modo il loro giudizio sul film.

In ogni caso, il film lo trovate anche su youtube. Buona visione a voi curiosi. Perché lo so che qualcuno si lascerà convincere a darci una sbirciatina.


domenica 3 agosto 2014

Orlando e Vivaldi






AAAHHHHHHH!!!!
Ridurmi Ruggero ad un contro tenore! Un'operazione un po' inquietante! Sì, era un giovinetto o giù di lì, ma renderlo così "leggiadro"... insomma, mi fa cadere un mondo di mascolina e cavalleresca immaginazione.

Ma poi, nonostante la ribellione iniziale, ti soffermi e tendi l'orecchio. Ah, come si sente Vivaldi in ogni singola nota, in quel suo struggimento baroccheggiante...

Per inciso: ve lo avevo detto che io adoro il barocco? Almeno musicalmente parlando.

E poi ascoltiamo il giovine, Philippe Jaroussk. Niente male.

Questa è l'aria Sol da te, tratta da L'Orlando furioso di Vivaldi, libretto di Grazio Braccioli, per la prima volta rappresentato nel 1727 a Venezia.
Un altro sotto-prodotto dell'Orlando. No, meglio chiamarlo derivato. Ma no, diciamo opera ispirata.

Insomma, mica siamo i primi ad apprezzare l'Orlando, no? E nemmeno Vivaldi.

Buon ascolto, allora. :)