sabato 28 giugno 2014

Gare di ballo a ritmo di polka e can can



Lo so, è un po' come se barassi. Perdonate le mie letture strampalate degli ultimi tempi. A mia discolpa dirò che il periodo si rivela intenso in mille rispetti, che le bambine sono diventate polpi e non mi lasciano leggere nemmeno mentre si addormentano; dirò che il cane del vicino è scappato e che il gatto del dirimpettaio l'ha mangiato, insieme alla lontra o simil (animale non identificato che assomigliava alla nutria, ma di dimensioni maggiori e dal corpo più mellifluo) e all'iguana nana che di solito passeggia nei giardini qui davanti. Ecco, solo una certa dose di questi eventi sono realmente accaduti. Ma tanto basta a farmi deviare da letture impegnate e persino da letture semi-serie.

E allora mi sono buttata sulle letture da biblioteca.

Dovete sapere che le nostre letture da biblioteca sono orientate verso soggetti... vari ed eventuali.
Non hanno pretese troppo elevate, ecco. Eppure riescono, di tanto in tanto, a stupirci. Un esempio clamoroso è stato


Ballroom Bonanza di Nina Rycroft (2009).

Questo è il libro per bambini più grazioso e completo che tratti d'alfabeto (e di animali, e di balli, e di strumenti musicali) che mi sia mai capitato di avere tra le mani.

In breve: c'è un concorso di ballo e, come accade tutti gli anni, i migliori ballerini tra gli animali (ma non i soliti animali della fattoria!) vi partecipano. E così troviamo orsi (bears) che ballano bolero, pinguini che ballano la polca, i canguri il can can, e via dicendo, seguendo un ordine strettamente alfabetico.
Ma non è tutto qui. Perché in ogni scenario si nasconde uno strumento musicale da trovare. Nascosti bene, mica per ridere!
E poi i colori, il movimento, le immagini!
La figlia grande ci ha speso sopra un'intera serata e anche la mattinata successiva e la mamma, doverosamente accanto, a scovare su internet i balli menzionati e, sul libro, gli strumenti musicali nascosti.

Chi è che diceva che un libro per bambini deve essere pensato per il bambino, ma anche per l'adulto che legge al bambino?
Beh, probabilmente si riferiva ad altre opere, ma se una semplice lettura prescolare riesce a divertire bambino e adulto insieme, vuol dire che, nel suo piccolo, anche lei è un capolavoro.




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mercoledì 25 giugno 2014

Stacchetto psicoanalitico



In età giovanile mi ritrovai immersa nello studio della psicologia. Ho già parlato della strana propensione degli adolescenti ad impegolarsi in cose più grandi di loro e a stravolgerle da cima a fondo, vero? (Era per caso chiacchierando di Poe?).


Sigmund Freud, 1926. Preso da Wikipedia.
In quel tempo, la mia acerba curiosità si era gettata a capofitto su Freud. Come rimanere meno che affascinati da un tizio che semplicemente attraverso un tuo sogno ti dice chi sei e quali sono i tuoi desideri inconsci, anche quando nessun sintomo ti suggeriva di averne?

E allora un'adolescente curiosa si tuffa a testa bassa in un mondo di interpretazioni nuove. Già allora pensavo che la cosa migliore fosse iniziare dall'inizio e, soprattutto, dalle parole stesse dell'autore. E così, cominciai dai trattati sull'isteria: che fatica!
Un po' meglio andò con L'interpretazione dei sogni (1899), anche se quel piccolo Hans che ha paura del cavallo perché associa il pene della bestia al pene del padre, mi ha lasciata perplessa per un po'.
Alla fine approdai per caso all'interpretazione del sogno di Leonardo in fasce.
Qui si trova una brillante teoria sulla sublimazione dell'istinto sessuale verso la produzione artistica.

Per farla breve, Leonardo da Vinci non aveva istinti sessuali indirizzati a donne, e forse neanche ai giovani bellocci di cui si circondava nel suo atelier, ma il tutto veniva sublimato nella sua arte, così che il sommo artista ci provava più gusto a dipingerli, i giovinetti, che non a consumare il suo desiderio in modi più scabrosi.
E tutto questo, Freud l'aveva capito da un sogno registrato dall'artista nei suoi fogli.
Il sogno?
... ne la mia prima ricordazione della mia infanzia è mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra

(Codice Atlantico C-61r);
Leonardo piccolino nella culla vede arrivare un nibbio che gli infila la coda in bocca.


   
Immagine presa da biografieonline.it
Caspita! Due più due fa quattro: la coda = simbolo fallico e l'avvoltoio = simbolo di virilità riconosciuto fin dall'inizio dei tempi.
Leonardo era omosessuale, almeno inconsciamente parlando. Omosessualità che rimane latente, sublimandosi nella sua creazione artistica.

Sì, signor Freud, ma non si era parlato di nibbio?

Ecco qui, basta una notina sulla traduzione, scritta a pie' di pagina, piccola piccola, a far cadere tutta un'analisi meticolosa: nella traduzione del sogno su cui Freud aveva tanto lavorato, quel nibbio era diventato un avvoltoio. E, purtroppo, il nibbio non ha la stessa popolarità nell'immaginario collettivo di quella dell'avvoltoio*: nessun simbolo fallico o forza virile gli viene associata.

Eh, ma questa, sicuramente, è colpa di Leonardo. Perché è evidente, lui voleva sognare un avvoltoio, ma, sbagliandosi, non ha trovato di meglio che un nibbio.

Basta davvero poco a far cadere un mito, non trovate?
Ed è per questo che non mi fido troppo delle interpretazioni psicoanalitiche che si riducono a sfere e impulsi sessuali e simil cose.


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* In verità, mi sono venuti dei dubbi anche in proposito all'avvoltoio quale simbolo di virilità, visto che, nelle cronache e nelle vite di santi medievali, la rinuncia alla vita sessuale era rappresentata dal far volare via il falcone, non l'avvoltoio. Vedi la vita di Cirillo, uno dei due fratelli che nel VII sec. hanno portato il cristianesimo in terra slava e ha creato l'alfabeto glagolitico.

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sabato 21 giugno 2014

Come i romantici c'entrino, sempre


Vi ricordate quando affermai spavaldamente che io e la poesia romantica inglese non andavamo molto d'accordo (ve ne accennai parlando di Byron)?

E allora perché mi ritrovo a leggere Christabel di Samuel Coleridge, uno dei padri del movimento romantico inglese?

Samuel Taylor Coleridge, ripreso da Wikipedia
Tutta colpa di Carmilla, ovviamente, e di Wikipedia, che suggerisce un collegamento tra l'opera di Le Fanu e il sopra citato poemetto incompiuto (Prima parte1797, Seconda parte 1800).
Beh, mi sono detta, ma i vampiri non sono nati, almeno letterariamente parlando, con Polidori (1816)? Che cosa c'entra, adesso, Coleridge con la vampira Carmilla?
La curiosità è stata più forte della repulsione per tutti quegli Alas e Lo! e, sostenuta anche dal fatto che il poemetto in questione non sia poi così lungo, mi sono fatta vincere dalla tentazione.

E anche qui, come spesso accade con queste grandi opere letterarie sempre conosciute e mai lette, ci sono mille cose che vale la pena di menzionare.

Immagine ripresa da reading.ac.uk
Prima di tutto, bisogna leggere l'opera. Se avete tempo, scorrete questa versione, mezza in inglese e mezza in italiano. Non è una versione con pretese letterarie, ma una semplice traduzione (semplice in tutti i sensi) che rende il significato e non toglie troppo spazio all'originale.
La sentite la musicalità? Se anche non la sentite, non fa nulla, perché Christabel non è bella solo per il verso (tra parentesi: un metro che conta gli accenti - 4 per ogni verso - e non le sillabe), ma anche per il tema trattato e per le molteplici chiavi di lettura.

La cosa che mi ha catturato fin da subito è stata l'ambientazione gotica. In questo primo frammento ci sono tutti i topoi del romanzo gotico mostrati con una vivida immediatezza, resa ancora più efficace dalla potenza del verso. E qui tocca riconoscerlo: un verso musicalmente riuscito aumenta la capacità evocativa dell'immagine, non c'è niente da fare.

La seconda cosa che colpisce, invece, è la trattazione dell'esperienza erotica omosessuale che l'eroina e l'antieroina vivono. Non ricorda, forse, in modo esatto, il rapporto delle protagoniste in Carmilla? L'unica differenza è che in Christabel il mostro non è precisamente definito. Cosa è Gerardine, la bella dama che viene trovata nel bosco e condotta nel castello da Christabel? Una strega? Un vampiro? Un amante travestito?
Non ci è dato saperlo. Eppure, invece di lasciarci delusi o inappagati, questa vaghezza rende la lettura ancora più intricante.
A questo punto le interpretazioni si moltiplicano e si complicano. Molti studiosi si sono buttati a capofitto verso un'analisi psicanalitica del brano, scoprendo una varietà non indifferente di pulsioni sessuali più o meno ortodosse riconducibili al suo scrittore. Così, il povero Coleridge si è ritrovato ad essere di volta in volta represso sessualmente, omosessuale, etc. etc.
Partendo dal  presupposto che io non mi fido minimamente delle interpretazioni che riducono tutto alla sfera sessuale (eh, a me Freud non ha mai convito troppo), articoli come quelli di  Jonas Spatz The Mystery of Eros: Sexual Initiation in Coleridge's "Christabel" hanno un loro fascino e si dimostrano anche sensati. Jonas Spatz analizza la figura di Geraldine, l'antieroina, e ci vede non il mostro contro cui l'eroina casta e pura deve scontrarsi, ma la metà oscura di una giovane alla scoperta del proprio desiderio sessuale. Una sorta di proiezione inconscia delle fantasie di Christabel che la aiuta a realizzare la propria dimensione erotica.
Immagine ripresa da hellenicaworld
Come ho già detto, se seguiamo Spatz con attenzione, il ragionamento fila. A parte forse qualche forzatura sull'analisi di un altro poema, The three graves, che l'autore ci infila per spiegare la visione di Coleridge (Spatz ci vede una madre che vuole assolvere ai doveri coniugali della figlia incapace di maturare nelle pulsioni sessuali, mentre il genero, anche se non sembra convinto, alla fine sembra quasi ben disposto; io ci vedo una madre che non vede di buon occhio il matrimonio della figlia e un genero che, vedendo la moglie deperire per questo rifiuto e per altri giri sentimentali che si delineano all'orizzonte, si sente colpevole), tutte le similitudini, le prove e le testimonianze che ci mostra sembrano dargli ragione.

Ma poi, ragionandoci bene, mi sono resa conto che il frammento poetico è bello non tanto per le presunte cervellotiche rappresentazioni del desiderio sessuale della sua protagonista, quanto per il pathos, per la musicalità e l'impatto visivo congiunto a quello sonoro del verso, per l'atmosfera gotica e anche per quel pizzico di erotismo proibito.

Di solito a me piace sezionare l'opera per capirne le molle o i trucchetti occulti, ma ci sono volte in cui questo gioco, pur donando forse maggior comprensione, non regala maggior bellezza. E così, almeno per questa volta, preferisco soffermarmi ad un livello più superficiale, senza discendere nei meandri dell'inconscio di giovani pulzelle in fase di maturazioni psico-sessuale.


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martedì 17 giugno 2014

Le "devianze" dei vampiri


This book is a love letter to all the vampire books I read over and over growing up. To Les Daniels for his Don Seastian de Villanueva series; Anna Rice for her Vampire chronicles; Tanith Lee for Sabella, or the Blood Stone; Poppy Z. Brite for Lost Souls; Nancy A. Collins for Sunglasses After Dark; Sheridan Le Fanu for Carmilla; and Suzy McKee Charnas for Vampire tapestry.
Queste sono le prime frasi che scrive Holly Black negli Acknowledgments finali de The coldest girl in Coldtown: diciamo che ringrazia di esistere e di averle fatto compagnia durante l'adolescenza tutta una serie di vampiri che io conosco davvero poco.
  
Locandina del film
Intervista col vampiro, 1994.
Ripreso da comingsoon
Forse Anne Rice, per la sua Intervista col vampiro (1973) mi è nota, ma solo per il film omonimo con Brad Pitt e Tom Cruise (1994). E certo, anche Carmilla di Le Fanu. Anzi, proprio lei avevo scaricato qualche mese fa con l'intenzione di leggermela con calma, una volta o l'altra. Vi stupirà sapere che quel momento è giunto?
No, non credo proprio.
Ed ecco rituffarci nella storia della letteratura, tra vampiri e romanzi gotici e... e anche qualcosa d'altro che si mescola a sessualità e psicoanalisi.

Come ormai tutto il mondo riconosce, il vampiro nasconde in sé una figura un po' meno orrorifica, ma non proprio meno aborrita e temuta: il seduttore. Beh, il primo racconto sul vampiro, quello di Polidori (1816), è ricco di allusioni al fascino sensuale di Lord Ruthven, di mestiere vampiro. Senza contare che ricondurre Lord Ruthven a Lord Byron, il getiluomo in esilio che Polidori seguiva nella veste di medico personale, è fin troppo facile. E Lord Byron, si sa, era noto nel suo milieu per il suo approccio disinvolto al gentil sesso. Nonostante questo, in Polidori l'aspetto sessuale e sensuale del vampiro rimane superficialmente trattato.

Immagine da audible.com.au
Carmilla esce qualche decennio più tardi (1872). Onestamente non so quanti altri vampiri siano nati nel frattempo. So che la figura del vampiro si è arricchita di caratteristiche sempre più inquietanti e per lo più grazie all'inventiva dei francesi; ma quanto il parallelo tra libertinaggio e vampirismo abbia avuto importanza nella produzione di quel periodo, non potrei dirlo.

E poi, ad un tratto, se ne esce questo Irlandese, Le Fanu, con una storia dalle tinte forti e dalla solida base folcloristica.
Il racconto viene presentato come il resoconto di un caso del dottor Hesselius, una sorta di dottore dell'occulto, il primo nella letteratura fantastica a sentire Wikipedia. Il caso viene raccontato in prima persona da una delle protagoniste della vicenda: Laura.
Di riassunti ce ne sono a migliaia sul web. Basterà qui raccontare che Laura e suo padre accolgono in casa una bellissima giovane, Carmilla, che poi si dimostra essere non proprio una gentil dama. Questa creatura è abituata ad intrufolarsi nel nucleo domestico di famiglie agiate e nutrirsi del sangue di tutte le donne del circondario. Uccidendole, naturalmente. Di solito l'operazione è veloce e nel giro di qualche notte le sfortunate muoiono. Ma quando invece Carmilla si invaghisce della preda, allora il piacere del consumare viene prolungato per settimane.

Già, Carmilla si infatua delle sue prede in modi così profondi e manifesti che la protagonista, Laura, a volte pensa che la sua bellissima amica, verso cui prova allo stesso tempo una forte attrazione e un'altrettanto viva repulsione, non sia altri che un giovinetto travestito da donna e venuto a farle la corte, proprio come accade nei romanzi. L'ambiguità della relazione è davvero poco ambigua. C'è poco da fare, l'evidenza è incontestabile: la vampira è libertina e predilige pure il proprio sesso.
Ma come? Un racconto di fine Ottocento che parla di libertinaggio spinto e di rapporti omosessuali tra donne? E con un tono così esplicito da lasciare a bocca aperta?

Eh, sì, può succedere, se il libertino omosessuale viene trasfigurato in vampiro. La "devianza" di gusti sessuali viene fatta ritornare nella normalità, o meglio, nella anormalità del caso: il vampiro è un essere deviato di suo (come anche il libertino). Vuoi che non sia deviato fino in fondo, magari anche nei gusti sessuali? E la vittima che sembra darle spago e corrispondere? Beh, è il potere del vampiro che la imbambola, perché lei, di fondo, è "normale".
E così si mischiano "devianze" di vario tipo, senza veli o pudori.

Immagine ripresa da graphicclassics
A parte le morbose inquietudini eterodosse del racconto, un'altra particolarità mi ha sorpresa: le scene in cui si descrive l'attacco del vampiro. Eh, questo lo dovete leggere per capirlo fino in fondo, perché non è facile rendere l'idea di terrore che la lettura fa sorgere nel cuore della notte ad una mente fervida. Immaginate l'attacco del vampiro: la bella dorme nella penombra di un fioco lume mentre ai piedi del suo letto si materializza un'ombra simile ad una bestia nera indefinita e inquieta, che salta sul letto ed è lei, ha il volto di Carmilla! Due punture sul petto e quando la vittima la riconosce, lei si rizza, ed è già alla porta, quasi fosse scomparsa e riapparsa. La guarda e, per l'ultima volta, scompare nel nulla.
Sembra un film!

Chissà come rende la scena sullo schermo. Se vi va di scoprirlo, su goticomania trovate l'elenco di tutti i film tratti dal racconto.

Buon divertimento. 


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Lord Ruthven e il dottore 
Favole e vampiri 



venerdì 13 giugno 2014

Favole e vampiri



E dopo le Reading in Progress di D'Annunzio, diventa doveroso staccare un pochino per riprendere fiato, alleggerendoci l'animo con qualcosa di fresco e scoppiettante.

Ed eccoli arrivare, allora, i vampiri.

Avevo già in mente da un po' di tornarci sopra. Del resto, abbiamo letto Polidori e il suo The Vampyre, il capostipite. Sembra brutto ignorarlo completamente, non fosse altro per tutta la popolarità che ancora ha tra orde e orde di lettori di ogni età.

A dir la verità, al momento di aprire il romanzetto incriminato, non sapevo nemmeno che si trattasse di vampiri. Conoscevo l'autrice e questo mi bastava.

Holly Black. Immagine ripresa da strangeandfascinating.com
Holly Black, autrice di romanzi per young adult: fantasy urbano, favolette per ragazzi, chiamatele come vi pare.
Conobbi Holly Black un tardo pomeriggio londinese, in una biblioteca in chiusura. Ero al secondo piano di questa immensa biblioteca di quartiere e correvo verso l'uscita. Beh, correvo con calma, diciamo, perché non avevo ancora deciso cosa raziare dagli scaffali che mi corteggiavano da ogni lato. Vagavo facendo la vaga, soffermandomi con un'aria tipo: "Lo so che é tardi, ma devo proprio avere questo, o forse quest'altro?". E così, chinandomi su un basso scaffale, senza ormai reale speranza di portarmi a casa qualcosa, vidi questo:


Come si può resistere ad una simile copertina? Ora, questa è una pallida copia dell'oggetto che mi capitò tra le mani: il cartone in rilievo, il glitter, i colori pastello su un fondo scuro... e niente rosa o fuxia dominanti!

Lo presi al volo e lo lessi anche al volo e altrettanto al volo corsi in libreria a comprare lui e Valiant (2006), un altro romanzo della stessa autrice, sullo stesso stile. Per molto tempo, o per quello che a me sembrò molto tempo, attesi il terzo volume e, una volta lettolo, continuai ad attendere. Sfortunatamente, la serie di Racconti Moderni di Fate si esaurì con quel terzo volume, Ironside (2007). Ne sono usciti altri, di Holly Black, ma non mi hanno mai preso come questi tre e per questo mi ero un po' distaccata della sua produzione.

Ma per qualche strano caso della vita, qualche sera fa, speculando su quale direzione dare alle mie letture, mi è venuta la curiosità di andare a vedere cosa aveva combinato in questi anni d'abbandono lei, Holly Black. E mi sono ritrovata a comprare, senza pensarci troppo su, un romanzo dal titolo insulso, The coldest girl in Coldtown (2013), che tradotto suona: "La ragazza più fredda nella Città fredda". Orribile! Non ho nemmeno letto la trama. Quindi non sapevo che si parlasse di vampiri. Se lo avessi saputo, probabilmente, in tutta onestà, non l'avrei preso. Ormai non mi fido più dei prodotti vampireschi che girano al giorno d'oggi.
E avrei sbagliato.

Mentre buttavo giù delle considerazioni sul romanzo, mi sono resa conto che sono moltissime le cose degne di nota, tante che racchiuderle in un solo post sarebbe difficile.
Sarò schematica, allora. E siccome quella della sintesi non è la mia dote migliore, mettetevi comodi.

Cose che fanno di questa opera di vampiri una lettura piacevole e abbastanza originale:
  • La presa di distanza da tutta la produzione vampiresca contemporanea
Basta con questi vampiri che si credono troppo umani, romanticizzati fino al punto in cui diventano persino "buoni": non bevono più sangue umano, camminano alla luce del sole grazie a talismani o, peggio ancora, il sole non ha altro effetto su di loro che mostrare le trasparenze diafane della loro perfetta bellezza.
I vampiri sono cattivi, paurosi, ogni tanto anche pazzi e, soprattutto, hanno fame!
  •  La tecnologia moderna, la rete, i blog e il giornalismo d'assalto imperano
I vampiri si sono moltiplicati di recente, ma la società non è rimasta con le mani in mano. Città-lager in cui vampiri e contagiati vengono tenuti rinchiusi sorgono in giro per l'America nel tentativo di arginare l'infezione. Ma tra i lager e il mondo libero c'è comunicazione. E questo scambio mediatico usa proprio quei mezzi che un mondo perfettamente globalizzato mette a disposizione: miriadi di blog si scambiano informazioni tra il fuori e il dentro e altrettante telecamere filmano l'eterno sballo che si consuma all'interno della città proibita, distorcendo più o meno in buona fede la realtà dei fatti.
  •  Considerazioni filosofiche sui vampiri e sulla loro natura
Ok, questo potrebbe sembrare quasi un discorso sul sesso degli angeli. Ma se accettiamo la realtà parallela in cui i vampiri sono reali (vi ricordate il patto tacito?), anche questo potrebbe essere uno spunto più che accattivante. Cosa sono, allora, i vampiri?
Una volta si diceva che mascheravano l'impulso sessuale, che erano libertini e dongiovanni trasfigurati. Oggi, vista anche l'evoluzione del genere, l'autrice ed i suoi protagonisti si chiedono di nuovo: Cosa è il vampiro?
Qualcuno colpito da una malattia che lo trasfigura in un mostro?
Qualcuno posseduto da un demone malvagio assetato di sangue umano?
Oppure è uno stato in cui l'umanità del soggetto colpito viene potenziata esponenzialmente, fino a trasformare la persona in un essere talmente succube della sua stessa umanità che leggi morali e sociali, ossia categorie imposte dall'esterno, non riescono più ad arginare la sua reale essenza?

E poi ci sono i personaggi che non ricalcano i soliti schemi (bella da salvare, vampiro-eroe, amico-aiutante, etc.).
Ci sono anche delle scene che a me non hanno entusiasmato troppo, anche se a mente fredda ammetto che sono funzionali alla storia (simil avvinghiamenti di corpi), ma rispetto alle cose positive, questa sembra una piccola debolezza che magari non disturberà altri lettori.

E, per completare l'opera, anche in questo caso Holly Black riesce a trovare il modo di stupire col finale. Con un colpo di penna, ti tira fuori dalla borsetta un risvolto inaspettato, completamente in sintonia con lo sviluppo precedente della storia. Del resto, è questa una delle cose che mi piace di lei: riesce sempre a tirarti fuori il coniglio dal cappello.

Tuttavia, non c'è nulla da fare, è impossibile ricreare le sensazioni che i suoi primi romanzi trasmettevano; diciamo a sua discolpa che anche i suoi lavori successivi non mancano di ingegno. Il tutto su una solida base culturale e storica del genere, che non guasta mai. 
E a questo punto, prima di dileguarmi verso altre letture più o meno in tono, vorrei solo mettere in calce una postilla, chiamiamola avvertenza:

NON - LEGGETE - HOLLY - BLACK - IN - ITALIANO!

Questa è una di quelle cose che hanno a che vedere con i traduttori traditori, o forse con l'espressività di una lingua inimitabile in una lingua diversa. Purtroppo (o per fortuna) l'inglese è una lingua sintetica e questo lo dimostra non solo col fatto che le frasi più riuscite contino al massimo cinque parole, ma anche con l'immediatezza della parola stessa: quello che l'inglese medio riesce ad esprimere in un solo lemma, spesso un italiano medio rende con un giro di frase. Esempio? Cercando di tradurre per puro esercizio lessicale Tithe, il primo romanzo citato lassù, mi ritrovai nel giro di poche pagine ad aver a che fare con tre o quattro tipi diversi di sguardi: sguardo di lussuria, sguardo in tralice, sguardo fisso, e non ricordo quale altro. Ad ognuna di queste espressioni, che in italiano si  riesce a rendere solo con una bella frase, corrisponde un perfetto sostantivo inglese con il corrispettivo verbo, in grado di dire da solo tutto quanto.

Quando un traduttore di libri per ragazzi si ritrova a fare una traduzione per ragazzi, di certo non perde tempo ad inventarsi frasi e frasette che esprimano il concetto nel modo più leggero e, allo stesso tempo, più immediato possibile. Dovrebbe, lo so; ma di solito pensa che il giovane adulto non vuole bellezza, ma azione. Ne deriva una traduzione approssimativa che perde molte sfumature preziose e anche un po' della magia iniziale.
Senza contare che è vero, le frasi di Holly Black sono a tratti davvero risicate. In italiano questa brevità potrebbe diventare persino fastidiosa. Quindi, se potete e se vi va, Holly Black va letta in inglese.

Ecco, ora ho proprio finito. Beh, forse non ho detto proprio tutto, ma magari aggiungerò altro al prossimo libro di Holly Black che salterà fuori.


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martedì 10 giugno 2014

Stacchetto pittorico



Vi ricordate il ritratto di donna Franca Florio, la dama da cui forse D'Annunzio ha preso ispirazione per la sua donna Elena Muti?

Quel quadro, come anche la pianista del post sulla Gavotta, sono di Giovanni Boldini (1842-1931).

Giovanni Boldini, Autoritratto, 1892.
Non farà sorpresa sapere che io non lo conoscevo. Ma io non ne capisco nulla di storia dell'arte e questo spiega l'arcano.
Eppure era un pittore molto famoso e richiesto a cavallo tra XIX e XX secolo. Tanto che il famoso industriale Ignazio Florio, marito di donna Franca, lo manda a chiamare a Parigi per farlo venire nella loro tenuta vicino Palermo a dipingere un ritratto di donna Franca.

Il famoso ritratto l'abbiamo già ammirato nel post sulle donne di Andrea Sperelli, ma ce ne sono altri, di ritratti, davvero affascinanti.

Giovanni Boldini, Luisa Casati con un levriero, 1908.

 Ed anche famosi!

Giovanni Boldini, Giuseppe Verdi, 1886. Ripreso da Wikipedia.

Non intaserò lo stacchetto con altre immagini, anche se la tentazione è tanta.
Piuttosto vi segnalo questo documentario sulla famiglia Florio, di A. Varchetta. Un racconto di altri tempi...


Purtroppo il documentario è spezzettato in mille micro episodi, ma rimane interessante comunque sbirciare in un'epoca di cui si ricorda poco, nonostante sia poi relativamente vicina.


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venerdì 6 giugno 2014

Gentiluomini a confronto



Gabriele D'Annunzio, Il piacere, 1889.


Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio, Narciso (1594-1596).

Le Reading in Progress su Il piacere di D'Annunzio stanno volgendo al termine. Non negherò che un po' mi mancherà l'atmosfera decadente in cui il conte Sperelli si muove.

Ma è tempo di passare oltre ormai, anche se prima di farlo mi piacerebbe soffermarmi su un paio di aspetti che accomunano Il piacere ad un altro romanzo che abbiamo letto insieme solo qualche settimana fa: Il ritratto di Dorian Gray.
Tra le mie varie convinzioni errate c'era l'idea che Oscar Wilde avesse prodotto il suo Dorian Gray molto prima rispetto a Il piacere di D'Annunzio. Che volete, questo brutto pregiudizio che gli italiani arrivino sempre in ritardo rispetto agli altri è duro a morire. Perché invece, controllando le date, si vede che non solo sono contemporanei, ma che addirittura Il piacere (1889) è stato pubblicato un anno prima de Il ritratto di Dorian Gray (1890).


George Henry Harlow, disegno di Lord Byron, 1816.
Ripreso da Wikipedia.
I temi trattati, i protagonisti, le loro esperienze estetiche, la loro visione del mondo, sono tutti elementi tanto simili tra loro che uno si meraviglia di come due scrittori tanto lontani nello spazio siano stati condizionati nello stesso identico modo. Tra i loro modelli comuni risuonano, naturalmente, i decadenti francesi. Almeno è questo che le critiche letterarie sostengono fino alla nausea. Ma se Oscar Wilde dichiara apertamente che Dorian Gray viene "illuminato" dalla lettura di un romanzo francese (che poi Wilde stesso dichiarerà essere il romanzo À rebours di Joris Karl Huysmans - 1884), ne Il piacere il conte Sperelli risulta influenzato dalla filosofia Byroniana di cui il padre, suo maestro di vita, era tutto impregnato.

Non mi soffermerò, adesso, sulla differenza tra la filosofia di Byron e quella di Huysmans, semplicemente perché non ci siamo ancora letti Huysmans. Sì, avete capito bene: non ci siamo ancora letti. Lo leggeremo insieme, ma non subito, non vi spaventate. : D


 J.-L. Forain, ritratto di J-K Huysman,
 1878.
Ripreso da Wikipedia.
Quindi, per tornare ai nostri personaggi, la cosa che colpisce maggiormente è la loro visione artistica della Vita, il fatto di voler plasmare questa vita e farla diventare opera d'arte. Da questo deriva tutto l'atteggiamento riguardo alle cose belle che formano la scena e la ricerca di esperienze che esaltino il piacere del vivere. Queste esperienze, naturalmente, si differenziano. O meglio, gli estremi che raggiungono i due personaggi sono diversi, anche se in qualche modo simili. Del resto, Dorian Gray si propone come romanzo gotico e in un romanzo gotico ci stanno bene omicidi ed eccessi torbidi. Il piacere sembra più un romanzo psicologico che spazia anche verso l'osservazione della società decadente in cui Sperelli si muove. Gli orrori dello Sperelli sono estremi allo stesso modo, ma rimangono nella sfera del libertinaggio e dell'autoinganno.
Ma la vera caratteristica che differenzia i due personaggi, secondo me, non sta negli eccessi dei due, quanto nella profondità con cui i due autori analizzano la loro psicologia. 

Dorian Gray, a cospetto del conte Sperelli, sembra una sagoma di cartone con sopra appiccicati tanti Post it. E sui Post it, tanti brevi manifesti inneggianti all'estetismo. Sperelli, invece, appare vivisezionato, talmente ben compreso e analizzato in tutti i suoi segreti motivi che spesso si crede (forse a ragione o forse non proprio) che D'Annunzio si compiaccia dell'atteggiamento del suo eroe e lo esalti. Ecco, io non ci vedo tutta questa esaltazione. Lo so, sto dicendo proprio il contrario di quello che generazioni di critici ripetono da sempre, ma secondo me D'Annunzio non intendeva, in realtà, fare un monumento al decadentismo come filosofia di vita. Forse anche lui, come Sperelli, si sente attratto dalla scena, dalla figura dell'artista, ma quando guarda "tutta la miseria del Piacere", come la definisce lui nell'introduzione, non lo fa con lo sguardo di chi si appresta ad una esaltazione. Lui guarda quasi con tenerezza al suo conte, forse persino identificandosi con lui a tratti, ma anche criticando la sua condotta, biasimando la sua bassezza tra le righe. E la triste scena del finale (lui torna a casa dopo un'ultima visita alla casa vuota dell'amante partita, sale le scale dei suoi appartamenti seguendo i facchini che trasportano un armadio appartenuto all'amante in un silenzio religioso), che ricorda molto una processione funebre, non è di certo la scena trionfale che uno si aspetta da un inno al decadentismo. 
Immagine da davidbroughton.net
Uno potrebbe anche dire che Dorian Gray non fa una fine migliore. Alla fine si uccide. Ma lui, forse, è mosso da altro. C'è paura, c'è persino un filo di pazzia, alla fine. Sperelli no, Sperelli rimane lucido e perfettamente cosciente di ogni decisione che lo porta verso la completa decadenza fino.

Che D'Annunzio amasse le belle cose, professasse l'elevazione della Vita a opera d'arte e dell'artista a creatore della sua stessa Vita, questo è scontato. Ma D'Annunzio non era uno sciocco, lui vede che un'esistenza decadente non dona la gloria che la Vita vera merita. Per questo, poi, la sua filosofia evolve fino al superuomo, fino a trasformare l'apatico Andrea Sperelli, incapace di imporsi ai suoi stessi impulsi e alle sue stesse menzogne, in un eroe, nell'uomo d'azione che impara a superare non tanto i limiti esterni, ma quelli che il suo stesso essere gli impone.

Sta di fatto che raramente si incontra un personaggio così ben analizzato psicologicamente. Ed è davvero un piacere seguire tutte le sue evoluzioni. Forse è per questo che ogni volta che ci penso, anche io provo un moto di tenerezza nei confronti dello spietato conte Sperelli, decadente libertino incallito.




martedì 3 giugno 2014

La Gavotta di Rameau



Gabriele D'Annunzio, Il piacere, 1889.


La pianista, Giovanni Boldini (1842-1931).

Ragazzi! Ho dimenticato di farvi ascoltare la Gavotta!
E questa non ve la posso far perdere. Perdonate se torniamo un attimo sui nostri passi, solo il tempo di un paio di "canzoncine".

Ma prima, vi spiego.

Il piacere è un'opera sensoriale, se vogliamo usare un termine un po' inconsueto. Ma, del resto, tutte le opere che si definiscono estetiche dovrebbero esserlo. Dovrebbero essere capaci di stuzzicare i sensi, avvolgerli e farli risuonare, fino ad inspirare il sentimento che si riconosce nel Bello. Ed è questo che D'Annunzio fa. Il Bello sgorga dalla narrazione sottoforma di sensazioni non solo visive, ma anche olfattive e sonore. Le profusioni odorose delle rose che invadono ogni spazio, la sensazione tattile della pelle di dame simile ai petali vellutati, la musicalità che si manifesta in più modi: quella della parola, che in alcuni tratti desta l'attenzione più che non l'episodio narrato, quella dei riverberi di suoni, di musiche, voci dagli accenti particolari.  
E poi c'è la colonna sonora che caratterizza le sue avventure.

Elena Muti ammira Beethoven, sonata in do diesis minore.

   
   
E nelle sale dei ricevimenti cittadini echeggia la romanza di Schumann:



Che parla di accecamenti amorosi. (Se a qualcuno interessa, la traduzione la trovate qui)

Ma nell'eremo della purificazione, accanto a donna Maria, la musica prevalente è questa:


 

La Gavotte di Rameau. Quella che Donna Maria chiama "delle dame gialle".
Molte altre sono le impressioni sonore sparse per il romanzo. Sono voci, accenti, rumori e silenzi. Ma non starò qui a descrivere ciò che prima di me ha fatto D'Annunzio con tanta arte. Lascio ai curiosi andarsi a cercare il resto della colonna sonora de Il piacere.
E adesso sì che possiamo passare al confronto tra i due esteti: Dorian Gray e Andrea Sperelli!