lunedì 31 marzo 2014

Racconti grotteschi e arabeschi



Mentre farneticavo liberamente su Hawthorne e Poe e ammiravo estasiata il bellissimo titolo della raccolta del primo (Twice-Told Tales), mi sono meravigliata di come io abbia potuto sorvolare sul titolo a dir poco particolare di quella del secondo. Dovrebbe essere la prima cosa da fare, non trovate? Indagare sul significato che un titolo dona all'opera a lui associata. E allora, anche se in ritardo, mi sono detta che forse una piccola diversione vale la pena farla.

Foto di Nathan Schmidt
La prima raccolta di Edgar Allan Poe, quella uscita nel 1840 (o forse nel 1839, non si capisce bene) ha un titolo complicato, un po' bizzarro: Racconti del grottesco e dell'arabesco. Non vi incuriosisce un pochino, come titolo? Dove sono i riferimenti al gotico o al macabro o all'horror?

Sì, perché se vogliamo essere pignoli, il grottesco, che secondo l'enciclopedia Treccani on line si riferisce a ciò che, a causa di una goffagine o di un paradosso o di una bizzarra deformità, "muove il riso pur senza rallegrare", non è qualcosa che spaventa davvero e, tanto meno, terrorizza.

E quell'arabesco? 
Anche questo, riferito di  solito a quella sorta di composizione ornamentale dalle forme geometriche e ripetitivamente minuziose, non sembra incutere raccapriccio, a dispetto delle linee spezzate che Burke avrebbe dichiararo sublimi. Se poi sentiamo la spiegazione di Poe, quella che ci dona nella sua prefazione, questo "Grottesco e Arabesco indicano con sufficiente precisione il tenore prevalente". E questo, a suo parere, basterebbe a caratterizzare i suoi racconti.
D'accordo, c'è da dire che all'epoca era in voga lo stile decorativo chiamato grottesco - arabesco. E per questo, come dice Patricia C. Smith nello studio sull'arabesco di Poe, la definizione, seppur vaga, aveva un senso più compiuto rispetto al senso che possiamo attribuirgli ai giorni nostri. E di solito si associava a quello stile decorativo che prendeva ad esempio le grotte romane e, in particolare, i ritrovamenti di Pompei, pieni di dipinti ad ispirazione fantastica di esseri ibridi e polimorfi.

A questo punto, uno se lo chiede: opere come Il gatto nero, Il barile di Amontillado, Il pozzo e il Pendolo, possono essere definite col termine "grottesco" o "arabesco"?

Nouvelle collection d'arabesques, 1810.
Ripresa da Peacay su Flickr.
Forse, ma proprio forse, se ci sforziamo. Ma la soluzione al dilemma è semplice, se non banale: questi racconti non erano ancora stati scritti e quindi, nella raccolta di racconti grotteschi e arabeschi, non ci entrano.

Se, infatti, si va a leggere il contenuto della raccolta, compaiono, è vero, racconti gotici o simili (The tale of the house of Usher, ad esempio) e ce ne sono altri che, invece, non hanno proprio nulla di gotico. Un esempio?

The unparelelled adventure of one Hans Pfaall.

Eggià, è a lui che volevo arrivare, Hans Pfaall: il racconto del primo uomo sulla luna.

Se non avete presente di cosa io stia parlando, in breve questa è la storia: un certo Hans Pfaall, per sfuggire a debiti e cose del genere, si mette in testa che, con qualche buon calcolo e un po' di ingegneria spiccia, si potrebbe pure tentare un viaggio su un pallone. Destinazione: luna. Il racconto lungo è il resoconto di questa impresa compiuta con spirito scientifico puro e semplice.

Non è che Poe sia stato il primo ad immaginare l'uomo sulla luna, sia ben chiaro. Da Ariosto a Keplero, a chissà quanti prima di loro e quanti dopo fino a Poe, molti hanno visto l'uomo imbarcarsi in qualche strano mezzo di trasporto e arrivare laddove nessuno era ancora mai arrivato: la luna.

Fritz Eichenberg.
The Unparalleled Adventure
of One Hans PFAALL. 
Incisione su legno, 1944.
La cosa particolare che poi lo rende unico e importante, è lo sforzo che l'autore compie per rendere plausibile il viaggio. Poe arricchisce il suo racconto di informazioni scientifiche, speculazioni e invenzioni che razionalmente dovrebbero poter funzionare. Questo differenzia il suo racconto dagli altri che lo precedono o a lui contemporanei. Pone una base scientifica ad un racconto d'invenzione per fare uno scherzo (perché tale voleva essere: un jeu d'ésprit) che pochi prendono per tale, vista la minuzia tecnica con cui è infarcito.

Ve lo avevo detto che Poe era un tipo piuttosto precisino, fissato con l'enigmistica, parecchio razionale e matematico, no? Ecco, in questo suo racconto escono tutte queste sfaccettature, oltre al burlone, s'intende.

Altri, dopo di lui, però, lo hanno preso molto sul serio e si sono detti: e se...

Da quel "e se..." siamo arrivati a cose fantascientifiche. Possiamo, noi, far finta che non sia successo nulla? Certo che no, sarebbe come negare una vastissima produzione di romanzi che hanno dilettato il secolo scorso con mille storie, a volte geniali, a volte insulse, ma pur sempre godibili. Per questo mi sento trasportata verso mondi a me sconosciuti: seguendo quel pallone di quel certo Hans Pfaall, chissà dove riusciremo ad arrivare. 



venerdì 28 marzo 2014

Stacchetto telefilmistico



Poe e le sue "ossessioni buie", i suoi "umori tetri". Come è possibile che la sua fosca, ma anche magnetica figura non abbia ispirato personaggi romanzeschi o cinematografici?

Locandina ripresa da qui
Eheh, disse la blogger ridendo sotto i baffi. Poe il macabro ha ispirato persino serialkiller, anche se, per fortuna, solo su pellicola. È il caso di Joe Carroll, il personaggio psicopatico di The following, una serie tv del 2013 e ancora in onda con la seconda stagione.
Per farla breve...
Ma no, meglio non anticipare nulla. È un thriller piacevole che vale la pena seguire senza spoilers. Naturalmente se vi piace il genere, con tanto sangue e colpi di scena. Senza contare la presenza dell'ormai vecchiotto Kevin Bacon che, nonostante tutto, ci sta proprio bene!

L'unica cosa che proprio devo dire è che il nostro carismatico psicopatico Joe Carroll viene ispirato dai lavori di un grande maestro: E. A. Poe.

Peculiar - direbbe Carroll, - il modo in cui l'insegnamento del grande poeta Poe ricorre in modi così multiformi nella cultura contemporanea.
Poster del film The Raven del 2012,
ripreso da patjacksonpodium.

Naturalmente ci sono altri personaggi che si richiamano direttamente o indirettamente al nostro poeta. Ad esempio The Raven, film del 2012 con John Cusack, Alice Eve e Luke Evans.
E qui non posso darvi proprio opinioni sensate. Nel senso che, se uno pensa alla trama, sembra anche interessante, ma quando sono andata a vederlo... qualcosa stonava, anche se non saprei puntare esattamente il dito su cosa. Probabilmente la caratterizzazione di Poe come personaggio.
O forse il fatto che l'ho visto a più riprese, per lo più distrattamente. :D
Perdonate la mia poca professionalità in qualità di dispensatrice di recensioni cinematografiche.

In ogni caso, buona visione.








martedì 25 marzo 2014

Storie raccontate due, tre, quattro volte e più



Gironzolando qua e là, sempre intorno a Il ritratto ovale di Poe, un bel giorno mi ritrovai a vedere accostato al suo nome quello di un altro scrittore a lui contemporaneo: Nathaniel Hawthorne.


Charles Osgood, Nathaniel Hawthorne, 1840.
Non ricordo nemmeno più dove lo trovai scritto (Wikipedia? Biografia di Arthur Hobson Quinn?), ma ricordo che la fonte accostava il racconto di Poe ad un certo The birth-mark. Dopo una lettura concitata, devo dire che ho chiuso il volume dei racconti di Hawthorne con un punto interrogativo svettante sulla testa. In cosa questo raccontino sull'ossessione per la macchia sulla guancia della sua bellissima moglie di un uomo un po' scienziato, un po' alchimista e sul suo tentativo di estirpargliela poteva essere paragonato all'artista che ritrae la moglie nel ritratto ovale?

Forse, sì, c'è un fondo di ossessione in entrambi, l'artista e l'uomo di scienza potrebbero essere accostati per il loro genio - ma anche no, visto che in Hawthorne si svela che tutte le opere superbe dello scienziato erano mezzi fallimenti in confronto a ciò che originariamente il personaggio stesso si era proposto di raggiungere. E poi c'è la fine che fanno le gentili signore sottomesse alla follia dei mariti. Forse la "scenografia", in qualche modo, entra in risonanza (ma nemmeno troppo).

Per farla breve, non ho trovato molto che potesse avvicinare i due racconti.

Ma poi ho trovato altrove un altro richiamo, un altro titolo che meglio del precedente poteva far pensare ad un collegamento: The prophetic picture. Ecco, questo racconto forse affronta meglio l'idea dell'artista in particolare e del genio in generale che riesce a cogliere la natura e a catturarla. E qui, un po' come nel ritratto ovale, si intuiscono linee tratteggiate che conducono ai decadentisti e agli esteti d'oltreoceano.

E poi vengo a scoprire un po' di date.
Tales of the Grotesque and Arabesque, l'unica raccolta di Edgar Allan Poe ad essere stata pubblicata in due volumi, è del 1840, anche se le storie sono apparse su varie riviste tra il 1835 e il 1840, mentre Twice-Told Tales, la raccolta di storie di Hawthorne, è stata pubblicata in due volumi separatamente: il primo nel 1837 e il secondo nel 1842 e come gli altri avevano già visto le stampe su varie riviste. Per questo, d'altronde, erano stati chiamati Twice-told tales: perché era la seconda volta che venivano raccontate sulla carta.

E, quindi, ancora un qualcosa che accomuna i due: le date, curiosità per alcuni temi (l'uomo di genio e le sue "follie") e persino situazioni risolte in modi simili. Mi riferisco ad altri due racconti che in parte hanno a che vedere persino con Dorian Gray e che si incentrano sul carattere del doppio.

Dovete sapere che Edgar Allan Poe era anche un critico letterario. O meglio, recensiva un po' tutto quello che la moderna letteratura americana produceva. Beh, non si può dire che avesse una grande stima per gli autori contemporanei. Diciamo che, a parte Irving, non vedeva grandi slanci di inventiva o maestria. Fino a quando non gli capitò di recensire Twice-Told Tale. E qui il grande scrittore si entusiasma. Ok, - ammette Poe - a volte il tema è un po' ridondante (diciamo che il soggetto è per lo più incentrato su un'America puritana, giovane e selvaggia, molto realisticamente raccontata e lontana anni luce dal gusto europeo dell'epoca), ma in genere la scrittura è piacevole, il pathos ben mantenuto, etc. etc. Anzi, sembra così entusiasta che a volte, conoscendolo, uno si chiede se sotto sotto non ci sia dell'ironia. Per poi arrivare a questo brano:
In Howe's Masquerade (uno dei racconti di Twice-Told Tale) we observe something which resembles a plagiarism--but which may be a very flattering coincidence of thought.
 In Howe's Masquerade osserviamo quacosa che assomiglia ad un plagio - ma che potrebbe essere una coincidenza di pensiero davvero lusinghiera.
 Il riferimento qui è al racconto di Poe William Wilson, un brano in cui il protagonista viene ossessionato dalla figura di un suo doppio "positivo". I due racconti, in effetti, hanno un soggetto simile e risolvono l'intreccio allo stesso modo, usando persino gli stessi espedienti.

La domanda viene spontanea: chi ha copiato chi? Poe, naturalmente, dice: se qualcuno lo ha fatto, è stato lui. Ma forse, tutto sommato, è stata solo una splendida coincidenza: i nostri sentimenti e pensieri sono talmente in sintonia che veniamo affascinati da temi simili e li sviluppiamo con soluzioni uguali.

In effetti, lo stile di scrittura è talmente diverso tra i due che è difficile accostarli. Eppure c'è indubbiamente una curiosità comune per certi personaggi (l'artista, il genio e il rapporto della vita con l'arte o il doppio, ad esempio, ma anche un certo approfondimento psicologico che a volte subisce strane contorsioni) e la tendenza a sviluppare questi spunti nella stessa direzione.

Il dubbio che Poe abbia di tanto in tanto dato una sbirciata qua e là ai racconti di Hawthorne, magari in tempi non sospetti quando ancora circolavano tra riviste sparse, e che poi ci abbia ragionato su fino a farne propri i contenuti, mi è venuta in mente un paio di volte, a dire il vero.

In ogni caso, siccome questo non è un argomento di facile trattazione, lo lascerei a chi magari ha un maggiore interesse ad affrontarlo. Certo, se si scoprisse che Hawthorne avesse davvero influito, anche in minima parte, sulla filosofia di E. A. Poe, sarebbe curioso fantasticare sul contributo che il primo può aver portato al decadentismo europeo; ma siccome sono tutte farneticazioni campate in aria, la finisco qui. 

Se vi va di leggervi la recensione di Poe su Twice-Told Tales, la trovate qui. E se poi vi viene voglia di leggervi anche i racconti, state attenti: sono tanti, a volte non proprio entusiasmanti, ma forse valgono la pena.

Se poi  non vi va di leggerveli tutti, ma, via, diciamo che non vi va nemmeno di leggerli, ecco qui il film del 1963.




Qui ci sono i racconti: Dr. Heidegger's Experiment, Rappaccini's Daughter e The House of the Seven Gables. Beh, ci sono almeno di nome, perché in effetti sono stati stravolti e poco assomigliano ai racconti originali. Allora, ammettiamo pure che queste traduzioni cinematografiche sono tipiche non tanto della narrazione di Hawthorne, ma della produzione filmografica degli anni '60. Quindi, se siete appassionati, sicuramente apprezzerete.

Buona visione.



sabato 22 marzo 2014

Ritratti



All'inizio avevo intenzione di sorvolare sul gotico di Poe e suoi affini, ma ho subìto per un po' l'influenza di quel Ritratto Ovale e mi divertiva l'idea di gironzolarci intorno.

Così, su due piedi, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la magia dello sguardo di un'altra famosa dama ritratta: la Gioconda di Leonardo da Vinci. Anche lui, Leonardo, è riuscito, come l'artista del racconto di Poe, ad immortalare la vita della sua modella, anche se spero non con lo stesso risultato.

La Gioconda di Leonardo daVinci,
1503-1514 c., ripresa da Wikipedia.
No, non è tutta una diceria o un'esagerazione quella che spesso si sente dire riguardo al ritratto. La Gioconda è davvero un capolavoro enigmatico. Io ho avuto la fortuna di vederla dal vivo, al Louvre (altro luogo da non perdere nel vostro Tour Parigino) e ho sperimentato il suo fascino. Lasciate perdere le foto che trovate ovunque, persino qui (!), quelle sono riproduzioni che hanno prosciugato la vita dal dipinto, un po' come il ritratto ovale ha fatto con la sua modella, ma con risultato opposto. Qualcosa di fantastico avvolge quell'opera d'arte. Leonardo è riuscito a dar vita se non proprio alla donna, almeno al suo sguardo. Perché è vero, a seconda dell'angolo da cui si guarda, lo sguardo della Gioconda cambia: da allegro e civettuolo diventa malinconico e mesto, pur continuando a sorridere.

Chissà se Edgar Allan Poe avesse in mente la Monna Lisa quando scrisse il suo racconto. Impossibile? Beh, forse no, ma di questo parleremo un'altra volta.

La seconda cosa che Il ritratto ovale mi ha richiamato alla mente è stato naturalmente Il ritratto di Dorian Gray. È per questo che vi ho tediato con le mie elugubrazioni sul romanzo gotico di Wilde.

Che Wilde abbia subito l'influenza di Poe nella composizione del suo romanzo, ormai i critici sembrano averlo definitivamente accertato. Una delle tante influenze, se guardiamo alla lunghissima lista di libri che vengono additati come fonte di ispirazione: il Faust di Goethe, Melmoth l'errante di Maturin (che, tra parentesi, era il prozio dello stesso Wilde), Platone, Gautier, À rebours di Huysmans (anche se a me sembra che più che l'opera, sia il personaggio di Dorian ad essere influenzato dal romanzo di Huysmans, una sfumatura magari insignificante, ma che a me sembra cambiare un pochino la portata dell'influsso subito dall'opera), Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hide e altri ancora di cui non ricordo nemmeno più, ma che Peter Stegner nella sua tesi Oscar Wilde's gothic: the presence of Edgar Allan Poe in The picture of Dorian Gray elenca con puntigliosa esattezza. Se vi va si saperne di più sugli influssi di Poe su Wilde, andatevelo a leggere. Se non altro quel poveraccio che ci ha lavorato tanto potrà vantarsi di aver trovato qualche lettore che apprezza il sudore della sua fronte. ; )

  
Da Lesley West in Artful Reading
 su Pinterest
Vi anticipo, comunque, che le storie che avrebbero maggiormente influenzato Oscar Wilde secondo Peter Stegner sono Metzengerstein, The Assignation, The Oval Portrait (eccolo qui, il nostro ritratto!), The Imp of the Perverse, The Black Cat e William Wilson, tutte passate attraverso la traduzione-rielaborazione di Baudelaire. In questo modo, tutto un filo sotterraneo incentrato sul concetto estetico di Bello corre a legare E. A. Poe a Oscar Wilde attraverso Baudelaire.
Ecco perché non dovrei mai scavare troppo! Adesso, per fare le cose fatte bene, dovrei andarmi a leggere i saggi di E. A. Poe e poi Baudelaire e magari anche Mallarmé. O forse facciamo finta di niente, prendiamo per buone le sensate considerazioni di Stegner e continuiamo per la nostra strada, guardandoci intorno in cerca di altri ritratti.

Ma qui, la mia ignoranza letteraria impone un fermo ad altri eventuali accostamenti al nostro Ritratto ovale, nonostante la grande risorsa che è wikipedia abbia già messo nel mio orecchio una pulce, confermata in parte da alcune frasi lanciate in aria da Stegner stesso. Ma se svelassi adesso il soggetto, non saprei di cosa parlare nel prossimo post.

Ed allora ci vediamo presto, sperando di non metterci troppo a buttarlo giù.



mercoledì 19 marzo 2014

Nella tela del ragno


Come siamo arrivati fin qui?
Parlavamo di inclinazioni del gotico e siamo arrivati all'estetismo in un sol balzo.
Qualcuno lo ha sicuramente capito. Tutta colpa di Edgar Allan Poe e del suo Il ritratto ovale.


"Annie" dagherrotipo di Edgar Allan Poe, 1849.

Nelle sue foto-ritratto Edgar Allan Poe sembra sempre un po' disperato, non trovate? Beh, forse lo era. Sempre alle prese con problemi economici, con una giovane moglie deceduta troppo prematuramente e dopo un malattia difficile, un talento mai compreso fino in fondo fin quando in vita. Insomma, non proprio lo scrittore di successo che uno si aspetta.

Ma, come dice Oscar Wilde, si ha il diritto di giudicare un uomo dall'influenza che ha sui suoi amici - in questo caso modificherei con licenza poetica e sostituirei quel "amici" con "colleghi d'arte". Ed è innegabile che lui, Edgar Allan Poe, abbia avuto un'enorme influenza sui posteri, influenza che ha davvero creato nuove prospettive letterarie.

Edizione Grandi Tascabili Newton
Il problema di E. A. Poe al giorno d'oggi è che tutti gli adolescenti lo adorano. Ok, in verità i problemi sono due: uno è che tutti gli adolescenti lo adorano e l'altro è che le case editrici, sapendolo, pubblicano tomi e tomi a prezzi stracciati, in modo che quegli adolescenti possano comprarli e leggerli al loro solito modo: superficialmente e banalizzandone i contenuti, scartando troppe cose fondamentali e inneggiando solo quelle che stuzzicano la fantasia un po' horror, un po' punk del giovane moderno.
Quando poi quell'adolescente cresce, ricorda magari The raven senza, però, avere nell'orecchio la musicalità cristallina del verso, rivive la storia del Barile di Amontillado, con la crudele determinazione del protagonista che mura senza scrupoli l'amico colpevole di avergli fatto uno sgarbo innominato, senza ricordare che nel breve racconto più di una volta quello stesso assassino aveva dato la possibilità alla vittima di fuggire. Ricorda mille altre situazioni, vagamente, ed istintivamente le considera di valore, ma senza sapere esattamente apprezzarle.

Forse è proprio questa la causa per cui Poe viene ritenuto uno scrittore gotico: la lettura adolescenziale che se ne fa. In verità, a me sembra che ce ne siano davvero pochi di racconti che si possano definire gotici fino in fondo e anche in essi, il dubbio di aver davanti un racconto davvero gotico rimane. Lo abbiamo ben visto con Il ritratto ovale.

Edgar Allan Poe non era solo uno scrittore, diciamolo. Era una mente matematica, un amante della pura logica. Era anche un essere dotato di una vena lugubre, vuoi per inclinazione personale, vuoi per la sua storia, vuoi per l'influsso gotico del momento. Ma era anche un poeta, un crittografo, un enigmista, un giardiniere-paesagista, un viaggiatore, un inventore mancato, un investigatore, uno psicologo, un saggista e persino un umorista. Ridurlo a scrittore di racconti horror o, peggio, gotici è sicuramente ignorare la maggior parte della sua produzione.

Foto presa da Gina Goad su Pinterest
Produzione che io, in uno slancio di onestà, ammetto di non aver letto per intera. Dopo i primi due volumi e mezzo della sua opera completa (5 vol. scaricati da Project Gutenberg) mi sono rivolta ad altro, ma già da questa parziale lettura ho visto diramarsi davanti ai miei occhi una fitta ragnatela di generi e sottogeneri e lui, E. A. Poe, vi stava in mezzo, ammirando col suo sguardo malinconico tutta la vasta produzione aritstica germinata nel secolo successivo proprio dalla sua arte.

Ecco perché uno scrittore dell'horror è così importante per la nostra presente cultura letteraria e viene stampato e ristampato, anche se ormai solo gli adolescenti si fermano a leggiucchiarlo a mozzichi: perché lui, Edgar Allan Poe, é molto più di un semplice scrittore di storie di paura.



sabato 15 marzo 2014

Stacchetto biografico con finale



Visto che in questo periodo stiamo parlando di lui, l'esteta per eccellenza, perché non andarci a rivedere il film che lo ritrae meglio?




Questo è del 1997 ed è fatto molto bene, a mio parere. Guardando Stephen Fry nei panni di Oscar Wilde, con quello sguardo languidamente afflitto, mi è venuta in mente quella sua lettera in cui dice che lui è come Basil, mentre tutto il mondo lo vede come Lord Wotton, i personaggi del Ritratto di Dorian Gray. Nel film, in effetti, non sembra lo spietato seduttore di menti giovani, mentore incitante al piacere estremo, ma una semplice vittima delle passioni che altri incoraggiano.

Chissà dove sta la verità.

E intanto, diciamo che i protagonisti del film non sono mezze calzette. Ok, Stephen Fry è Wilde, Jude Law è Bosie, e poi c'è Jennifer Ehle che gioca il ruolo della moglie Constance.


Se vi sembra un volto familiare è perché ha recitato anche in Pride and Prejudice della BBC, nel 1995.



 Sì, proprio quello con Colin Firth nei panni di Darcy!

E ora vi racconterò una notina autobiografica che poco c'entra con Oscar Wilde.
Per lavoro, ci capita spesso di cambiare casa. Beh, non solo casa, ma anche paese, lingua, etc. etc.
Ebbene, ogni volta che cambiamo non solo destinazione, ma persino casa, che sia una casa in cui abitiamo per poche settimane o che sia la casa definitiva, costringo mio marito a guardarsi Pride and Prejudice della BBC.
Inutile dire che mio marito lo conosce a memoria. Ma non lo compatite! Anche lui ci trova i suoi sottili piaceri. Come ad esempio quello di imitare la Signora Bennet quando grida con la sua vocina isterica: "Mr Bingley! Mr Bingley!"

E con questa rivelazione, vi lascio per oggi. : D



martedì 11 marzo 2014

Spunti e spuntini


Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1890.

 

 
Illustrazione de The picture of Dorian Gray del 1925 ripresa da johncoulthart


Il ritratto di Dorian Gray è stracolmo di frasi o concetti o allusioni che stuzzicano la curiosità, quando non la riflessione. Non basterebbe un lavoro di ricerca per esaurirne i significati e le potenzialità.

Ma qui non voglio appesantire troppo le mie farneticazioni con intuizioni più o meno fondate o declamazioni anti o pro Wildiane. Per questo non parlerò del perché Basil Hallward deve morire, o del perché, invece, Lord Henry, colui che allo stesso modo ha contribuito alla degradazione del protagonista, non viene accusato allo stesso modo.

Non entrerò nemmeno in polemica con uno dei tanti articoli trovati per caso sul web che insiste col dire che nel suo romanzo Oscar Wilde dona un sincero ritratto di se stesso (per inciso: un esteta non sarà mai così sciocco da dare una versione sincera di sé, per il semplice fatto che ritrarsi come davvero si è vuol dire ritrarre la vera Vita priva di Bellezza e lo scopo di ogni opera d'arte è creare Bellezza), anche se mi verrebbe voglia.

Mi soffermo, invece, su un passo del primo capitolo, un po' bizzarro a suo modo:

"Dorian Gray? Is that his name?" asked Lord Henry, walking across the studio towards Basil Hallward.
"Yes, that is his name. I didn't intend to tell it to you."
"But why not?"
"Oh, I can't explain. When I like people immensely, I never tell their names to any one. It is like surrendering a part of them. I have grown to love secrecy. It seems to be the one thing that can make modern life mysterious or marvellous to us. The commonest thing is delightful if one only hides it.

«Dorian Gray? È questo il suo nome?» domandò Lord Henry, attraversando la stanza verso Basil Hallward.
«Sì, questo è il suo nome. Non intendevo dirtelo.»
«E perché no?»
«Oh, non saprei spiegarlo. Quando una persona mi piace immensamente, non dico mai a nessuno il suo nome. È come cederne una parte. Sono giunto ad amare la segretezza. Pare essere l'unica cosa che può renderci piena di meraviglia e di mistero la vita moderna. Basta nasconderla, e la più banale delle cose diventa deliziosa.

 Io, io, caro Basil, lo posso spiegare. E in una maniera un po' diversa da quella che intendi tu. Sì, certo, il mistero rende preziosa e seducente ogni cosa, ma secondo me non è solo questo.

E allora ascolta: possedere il nome di una cosa, che sia oggetto o persona, è come possederne anche l'essenza, conoscerla davvero. Il nome, inevitabilmente, ci avvicina, ci rende familiare l'oggetto che designa.

Pura semiotica di base, lo so. Eppure così affascinante, se ci pensiamo. Perché, ad esempio, ammirare un fiore di cui non conosciamo il nome ci dona una soddisfazione maggiore nel momento in cui possiamo associare ad esso un nome? Ci avete mai provato? Andate in un prato e scegliete un fiore sconosciuto, ricercatene il nome e la volta dopo, andate a ritrovare quello stesso fiorechiamandolo per nome. Vi sembrerà di aver aggiunto qualcosa alla sua bellezza. Un segreto che solo voi tra gli altri conoscete.

Basil conosce la potenzialità di Dorian, lo adora, lo venera come fosse il dio della bellezza e dell'ispirazione. Comprende la sua bellezza fino in fondo. Ma dare ad altri quel nome prezioso è rendere altri partecipi della stessa conoscenza. E la cosa posseduta, una volta condivisa, diventa un po' meno preziosa, per il semplice fatto che deve venire condivisa, imbrattata da altre voci che ne stropicciano il nome, altri occhi che ne sporcano l'immagine e tutto ciò che porta con sé.

Non so se ho espresso bene il concetto. Era da un po' di tempo che giravo intorno al mistero del nome in senso lato, ovviamente, e ritrovarmelo all'improvviso tra le righe de Il ritratto di Dorian Gray è stata una piacevole sorpresa.

Ma basta adesso con le elugubrazioni semi-semiotiche. Possiamo dire che con questo post ho terminato la lettura de Il ritratto di Dorian Gray.
Spero di non avervi annoiato con le mie farneticazioni. Intanto, vediamo un po' che stacchetto posso trovare per farmi perdonare.

sabato 8 marzo 2014

Le tre facce di Wilde



Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1890.

 

Atelier Quici DA., Three Faces ( Tre Facce)
Pittura, Astratto geometrico, Olio, Tela, 2011
Tre Facce, la buona,la cattiva e la maligna
Basil Hallward - Lord Henry Wotton - Dorian Gray. Stesse facce di un unico essere: Oscar Wilde. E non solo perchè l'autore, in una delle sue ultime lettere (Letters 352), dichiara:

"Basil Hallward is what I think I am; Lord Henry what the world thinks me; Dorian what I would like to be."
"Basil Hallward è ciò che penso di essere; Lord Wotton quello che il mondo pensa che io sia; Dorian ciò che mi piacerebbe essere."

A dire il vero, il triangolo pericoloso mi sembra più complesso di quello che da queste poche parole si deduce.

Inizierei con Basil Hallward, l'artista. Lui rappresenta il genio che riconosce il Bello nel ragazzo nel fior fiore della giovinezza, non ancora corrotto dalla Vita. Questo ideale di Bellezza lo ispira, cambia la sua visione artistica, ne condiziona indirettamente ogni opera. Il ragazzo, inconsapevole dell'influsso che ha sull'artista, diviene la sua musa ispiratrice fino a quando Basil realizza la sua massima opera, il famoso ritratto. Singolare che esso ritragga il giovane proprio nel momento in cui le parole dell'altro personaggio, Lord Wotton, lavorano sulla sua immaginazione e gli mostrano ciò che potrebbe accadere, rispettando il dovere morale di sviluppare il proprio essere secondo un'idea edonistica.

Poi arriva Lord Henry Wotton , anche lui un artista a suo modo. Ma lui non riproduce il Bello in opere d'arte. Lui lavora sulla psicologia del ragazzo, lo vede come uno strumento musicale che risponde magnificamente ad ogni colpo che le sue parole gli indirizzano. Lo forgia, lo modella, lo usa in una sorta di esperimento che non ha altro scopo se non quello di creare il perfetto esteta, il perfetto edonista.

E poi c'è Dorian Gray, la doppia opera d'arte. Da una parte l'opera d'arte che ritrae il Bello assoluto, la giovinezza incorrotta: il ritratto. Dall'altra l'esteta estremo, che attraverso le sensazioni sperimenta il Bello nell'attimo e lo realizza nella sua esistenza, senza pregiudizi, senza rimorsi. L'opera d'arte vivente.

Il rapporto tra le due realizzazioni del Bello, quella nell'arte e quella nella Vita, hanno una strana corrispondenza. Non solo perché Dorian Gray comprende il reale potere della sua giovane bellezza ammirandosi per la prima volta nel quadro; non solo perché grazie alla preghiera del giovane, il loro destino si rovescia, ma anche per lo strano legame psicologico che si instaura tra l'essere che vive di sensi e il dipinto che subisce l'usura di una tale vita.
 

Scena del film Dorian Gray, 2009.
Ed è buffo che quando per la prima volta Dorian Gray vede sul dipinto i segni della sua corruzione, si dispiaccia perché un simile capolavoro debba essere rovinato in quel modo. Anzi, si dice che quasi quasi sarebbe persino pronto ad invertire la preghiera, affinché  l'opera non venga rovinata.
Ok, dura due secondi, ma l'idea dell'opera perfetta corrotta lo cruccia. Almeno fino a quando non si rende conto che su di essa e attraverso i suoi cambiamenti potrà studiare i suoi stessi moti d'animo. Potrà analizzare l'opera d'arte che è lui stesso nel suo divenire.

A questo punto Dorian Gray ha piena consapevolezza di quello che è e Lord Wotton, colui che lo ha ispirato, non partecipa più alla sua realizzazione. Non ha più bisogno di mentori. Dorian Gray è libero di auto-forgiarsi.

Secondo me era questo che Wilde voleva dire quando diceva di voler essere Dorian Gray: non tanto che voleva vivere come lui, una vita dissoluta e coraggiosamente anti convenzionale (e qui gran parte degli impiastricciatori di blog letterari ammiccano alla sua omosessualità), ma che voleva poter sviluppare in lui il prototipo dell'esteta, dell'edonista, del Bello che fa da modello alla Vita reale. Divenire lui stesso un'opera d'arte vivente.

Dalla fine che fa Dorian Gray, e forse anche dall'esperienza di vita dello scrittore, uno potrebbe ricavarne la morale: la vita dei sensi non paga. Ma come lui stesso dice nella prefazione, il lettore che cerca un significato nell'opera d'arte lo fa a proprio rischio. Siccome non mi va di correre il rischio di venire a far parte degli impiastricciatori di blog dalle interpretazioni traverse, inchino il capo al volere dell'artista e taccio. ; )

Egon Schiele, Autoritratto con testa china,
Studio per Eremiten (L'eremita), 1912.

martedì 4 marzo 2014

Reading in progress: Il ritratto di Dorian Gray



Ora non rimproveratemi, non mi sono impigrita. Continuo a leggere come posso e già ho accumulato un po' di volumetti, anche se a dire il vero non ho avuto molto tempo per scriverci su qualcosa.
Il fatto è che, siccome vorrei dare una parvenza di organicità ai vari discorsi che ho in mente, e siccome ho questo piccolo scoglietto da superare che è The picture of Dorian Gray (1890), pensavo di concedermi un po' di tempo ed esplorarlo con calma. Insieme, naturalmente.

Ed ecco tornare le Reading in progress. Ometto "tanto attese", perché non ho la più pallida idea se siano state gradite o meno le prime, quelle su I misteri di Udolpho. :D

Immagine ripresa da Pinterest

Per tornare a Il ritratto di Dorian Gray, vi dirò che naturalmente l'ho già letto in altri tempi. Due volte, per l'esattezza. Ma devo averci perso troppo poco tempo, perché molte cose che adesso, ad una lettura più attenta, trovo complicate, allora non mi sembravano affatto meritevoli di rallentamenti e cogitazioni.

Una delle tante cose che mi ha dato un po' di pena, la prima in assoluto: la prefazione.

Appare così, senza introduzioni o gentili presentazioni. E cosa ci troviamo? Tutta una serie di aforismi, uno accostato all'altro, piccole verità alla Oscar Wilde che girano intorno all'artista, all'opera d'arte e al lettore-critico. Naturalmente è l'esteta Wilde che parla. Basterebbe citare l'ultima frase, quella scritta in neretto prima della firma, per farci capire la sua filosofia:

All art is quite useless.

Tutto ciò che è arte è del tutto inutile, nel senso che non ha un uso pratico, un senso altro se non quello di essere lì a lasciarsi "godere".
Niente morale, niente etica o fini didattici, ma solo rappresenstazione di un Bello ideale, unica essenza capace di appagare i sensi, questi tiranni signori.

Oscar Wilde, ripreso da mlquotes.com
Alla base di tutto, quindi, c'è il Bello, valore assoluto non solo chiamato ad essere il soggetto dell'opera d'arte, ma destinato a diventare anche il modello a cui la vita si rifà.

Aspetta, aspetta, detto così non è che si capisca granché. Non si dice sempre che dovrebbe essere la vita a fare da modello all'arte? No, gli esteti dicono di no. Questi eccentrici signori non avevano in simpatia la scialba e cruda Natura e tanto meno la Vita realisticamente approcciata e osservata. Dov'era il Bello in simili rappresentazioni? Soffocato da tonnellate di effetti realisticamente squallidi e disordinati.
E allora, compito dell'arte non era solo distanziarsi da questa Vita priva di poesia, ma creare un modello che potesse aggiustare i difetti della Natura, ma anche costituire un esempio che la Vita stessa doveva imitare.
Ne esce fuori un ideale del Bello che non ha bisogno di altri scopi sotterranei per esistere, che basta a se stesso.

Those who go beneath the surface do so at their peril.
Coloro che vanno sotto la superficie, lo fanno a loro rischio e pericolo.

Ci dice Wilde, quasi fossimo davanti alla porta infernale di Dante. E ce lo dice dopo averci avvertito che l'artista prende la materia della sua arte un po' dove capita, senza badare a convenzioni morali o etiche. Vizio, virtù, tutto fa brodo, perché lo scopo non è l'insegnamento che se ne ricava, ma l'effetto che si produce.

Questo è l'ideale a cui Oscar Wilde si vota. Come pensare che, con una simile prefazione, Il ritratto di Dorian Gray non sia costruito intorno a questo credo?

Altro che diritti dell'omosessualità o polemica contro la società omofoba. Qui c'è molto di più. Ma con calma. Del resto, stiamo ancora alla prefazione. 


Preso da Pinterest