venerdì 21 novembre 2014

La resa



Walter SICKERT Ennui. Da nga.gov.au

Baudelaire nella sua introduzione a Les fleurs du mal, scrive:
Mais parmi les chacals, les panthères, les lices,
Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,
Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,
Dans la ménagerie infâme de nos vices,

II en est un plus laid, plus méchant, plus immonde!
Quoiqu'il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
Il ferait volontiers de la terre un débris
Et dans un bâillement avalerait le monde;

C'est l'Ennui! [...]
Che dovrebbe suonare così:
Ma fra i lupi, le iene, i falchi e le pantere,
le scimmie, gli sciacalli, gli scorpioni, i serpenti
che urlano e grugniscono, giostrando in turpi schiere
entro il serraglio infame dei nostri traviamenti,
uno ve n'è, più laido, più maligno ed immondo!
Sebbene non accenni un gesto né un bisbiglio,
vedrebbe volentieri crollare l'interno mondo
e inghiottirebbe il globo con un grande sbadiglio:

è la Noia!  [...]
Del resto, anche San Benedetto, mille e più anni prima di lui, avvertiva nella sua Regola:
L'ozio è nemico dell'anima, [...]
 (Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano; dalla Regola di San Benedetto).

È vero, l'ozio porta alla noia e la noia guasta l'anima, la incupisce e la intristisce, fino a costringere l'individuo a cercare degli escamotage per sfuggirle: trucchetti che spesso non fanno altro che gettarlo ancor di più nella desolazione.
Baudelaire cerca rimedio gettandosi nei suoi universi poetici, gongolandosi in questa elegante Ennui che lo fa soffrire, ma che allo stesso tempo lo eleva a poeta, essere guardato malignamente dagli uomini, ma vicino allo sguardo di Dio. Essere consapevole di questo non lo aiuta un granché, ma almeno lo spinge a fare qualcosa: a scrivere.
San Benedetto, nel tentativo di non lasciare l'anima in balia dell'ozio, prescrive una rigida "tabella di marcia" per i suoi monaci, i cui giorni vengono scanditi da lavoro, preghiera e studio.

Certo, la noia non nasce solo dall'ozio. Anche un essere pienamente occupato può sentirsi schiacciato dalla monotonia sbaragliante e soccombere ad essa. Ma, a ben vedere, anche in quel caso è l'incapacità o l'impossibilità di valorizzare il tempo a proprio gusto che genera il senso di disagio. Sempre e solo una questione di tempo sprecato, insomma.

E quando, invece, si è sopraffatti dall'assenza di tempo?
Mettiamo che in una giornata bisogna dedicarsi a mille cose, essere assorbiti da mille situazioni in cui è doveroso immergersi e dare tutto di sé. E mettiamo che non si stia parlando di grandi personaggi del passato, ma di una lettrice media: io, ad esempio.
Ozio, noia nel quotidiano? Miraggi!

Anche in questo caso ci si può sentire sopraffatti da un'imperante frustrazione. Ci sono tante cose che si vorrebbe fare, creare, studiare e tutto, invece, si proietta in un tempo futuro che non arriva mai.

Immagine da semplicementevincente.blogspot.sg
Come ciliegina sulla torta, spesso sento ripetere: "Se vuoi farlo, lo trovi il tempo."
No, se il tempo non c'è, non c'è. Perché, a volte, non dipende da noi.

Ed in questo caso, allora, oltre che navigare in mari di frustrazione, cosa si fa?
Ci si piega alle esigenze.

Tutto questo pappone per dirvi che per un attimo ho pensato di chiudere il blog. Ormai sono settimane che mi scapicollo per star dietro ai post, alle letture e alla programmazione, riuscendoci a mala pena e pure male. Le idee non mancano, ma bisogna trovar tempo di approfondire, di studiare. Perché questo mio angolo non è nato solamente per raccontare le mie letture (anche, ma non principalmente). È nato per incentivare me stessa ad approfondire, per giocare a studiare. Ma se il pubblicare a scadenza prestabilita diviene più importante dell'approfondire l'argomento, allora questo gioco non ha più senso.

Tuttavia, rinunciare completamente mi toglierebbe parte del divertimento. Il blog, se vogliamo, è la spinta che mi porta a scavare, che fomenta la mia curiosità. Far sapere a voi cosa scopro mi spinge alla caccia al tesoro con più gusto.

E allora arriviamo al compromesso.

Non desisto, ma rallento, mi arrendo a ritmi un poco più sonnacchiosi. Mi regalo del tempo in più sulla scadenza di pubblicazione e ancora una volta allungo le pause: non più un paio di post alla settimana, ma uno solo, di valore.

Se, quindi, non mi vedrete più troppo spesso in giro, non pensate che io abbia gettato la spugna. Sono sempre qui, a rimuginare e leggiucchiare e scribacchiare impressioni. Ma con più calma, con maggior riflessione. E chissà che anche la qualità del blog non migliori un pochino...




lunedì 17 novembre 2014

Stacchetto riflessivo



A volte uno si chiede: perché quella storia? Perché ho sentito il bisogno, in quel momento, di leggermi quel romanzo e non un altro? Perché davanti ad una libreria bassa, a casa della bambina dormiente, ho preso Christine in mano e non il diario di Anna Frank?

Non sono l'unica a chiederselo. Ogni tanto la domanda se la fanno un po' tutti e a seconda dello spirito con cui viene pronunciata prende più ampio respiro, cambia punto di vista e si interroga anche su altro. Ad esempio, "perché non riesco a farmi piacere quel libro, in questo momento? Eppure dovrebbe interessarmi...". O ancora: "Cosa spinge il lettore a leggere? Che cosa cerca in quel particolare libro o, in generale, nella lettura?"

Da gruppodilettura.wordpress.com

E, ogni tanto, compaiono risposte travestite da verità assolute. Come questa, trovata su writerunboxed, uno dei siti americani per scrittori più accreditato:
I lettori vengono (a leggere i romanzi) non per quello che sembra logico, chiaro e ovvio - bella scrittura, plot ingegnoso, una voce fresca e così via. I lettori vengono per quello che c'è sotto la superficie. [...] Cerchiamo utili informazioni che ci dicano come navigare attraverso situazioni in cui non siamo ancora capitati e che ci forniscano un nuovo sguardo su quelle in cui siamo già passati. Per questo ci sono una serie di attese attraverso cui inconsciamente valutiamo ogni storia - attese che non hanno nulla a che fare con il saper "scrivere bene".
Quindi, in quel particolare periodo della mia vita in cui tra Christine, la macchina infernale (1983) e Il diario di Anna Frank (1947) senza esitazioni ho scelto Christine, sono stata spinta a tale atto dal desiderio sotterraneo di capire come si affronta l'evenienza in cui ti capita di aver a che fare con una macchina posseduta. O con un amico ossessionato da una macchina più o meno posseduta, o con un figlio adolescente col pallino dei motori - posseduti. 

Mmmm...
Sarò l'eccezione che conferma la regola, ma non credo di leggere per comprendere meglio le dinamiche del mondo che mi circonda o delle situazioni in cui capito. Forse leggo anche per imparare qualcosa, ma non in quel senso lì. Se così fosse, le mie letture si rivolgerebbero in ben altre direzioni.

Il segreto segretissimo della lettrice media è che lei legge semplicemente per divertimento. Possiamo anche dire per "evasione", ve lo concedo. Perché capita che a volte, intrappolati nel piattume di situazioni sempre uguali o problemi che opprimono oltremodo, faccia piacere tuffarsi nei problemi di qualcun altro, possibilmente opposti ai propri, e vedere come va a finire. E se questi problemi sono anche raccontati con maestria, tanto meglio, il viaggio sarà più eccitante. O forse dovrei dire che questa è una delle cause che rendono il viaggio eccitante.

Questo...
... o questo?
Così, calarsi nelle braghe di un adolescente sfigato e butterato che, per raggiungere il colmo della sfiga, si imbatte nella macchina infernale, dona una nuova vibrazione al piattume della vita adolescenziale in cui si spera che qualcosa accada, ma in cui alla fine non accade mai nulla. Questo è il vero motivo per cui mi sono ritrovata con Christine tra le mani e non Il manuale della perfetta Baby sitter.

Che poi, grazie alla bravura dello scrittore, questo stesso romanzetto sia riuscito a divertirmi anche in età meno acerba, beh, valorizza ancor più l'ipotesi che i libri non si leggono solo per fare esperienza, come qualcuno sembra voler sottolineare ogni volta che cerca di incoraggiare i non lettori a diventarlo, ma per trarne piacere anche attraverso il godimento dell'arte del saper scrivere bene.

Un hobby, niente più.

Niente elevazioni spirituali per il solo fatto di decifrare lettere in parole da un volumetto rilegato, niente meriti sovraumani o altri ameni fini spirituali: puro e semplice divertimento.

A questo punto, spesso mi sono chiesta: e allora, perché insistere così tanto affinché altri si approccino a questo hobby?
Tanto lo sappiamo, leggere non vuol dire accrescere la propria cultura. Non leggere come lo si fa al giorno d'oggi. Basta scorrere la lista dei Best sellers per rendersene conto.

Ma ve lo concedo, basta con le liste per il momento. Guardiamoci intorno e vediamo un po' da dove ripartire.


mercoledì 12 novembre 2014

Christine: the movie



E come sempre, ad un bel romanzo, specialmente d'azione, segue un film più o meno bello.
Ed infatti nel caso di Christine non fa nemmeno in tempo ad uscire il romanzo che - zack, Carpenter ci fa un film (1983).



Di differenze dall'originale ce ne sono. Diciamo che, forzati dall'esigenza di rispettare i tempi del grande schermo, e magari anche di semplificare il tutto, il regista e gli sceneggiatori rigirano un po' la storia, a volte perdendo molto più di quello che acquistano.
Ma a questo dobbiamo rassegnarci.

Se volete saperne di più, ho trovato questo sito che ne parla ampiamente, davvero interessante: www.allpar.com. Se l'inglese vi è ostico e siete curiosi di sapere quali sono, ad esempio, le differenze tra romanzo e film, o la storia di una delle 23 Fury che sono state impiegate per girare Christine, fatemi un cenno e cercherò di provvedere con una versione italiana. ; )

Per oggi è tutto. Lo so, un post veloce veloce. Perdonate la concisione.

E ora, vediamo che stacchetto ci si può tirar fuori...



sabato 8 novembre 2014

Christine: ieri e oggi



Ma cosa ci trovai in quel romanzetto dell'orrore che parla di macchine - argomento, diciamolo, di un soporifero... - e di scheletri al volante?
Di sicuro qualcosa di potente, se poi è riuscito a condizionare il mio destino di lettrice.
All'epoca non ero in grado di capirlo coscientemente. Mi rimaneva un odore, un sapore che ritrovavo immancabilmente in ogni opera di King, piacevolmente familiare.

E oggi?
Oggi lo rileggo con uno sguardo più critico, più istruito se vogliamo. Riesco a vederne i punti di forza, ma anche i punti deboli, quelli che mi fanno storcere un po' la bocca (e ce ne sono). A volte lo trovo superfluo nelle sue elugubrazioni, a volte poco coerente. Eppure, ancora una volta, mi piace immergermi nel mondo di Christine, mi ci sento a casa, con quello stesso odore e sapore. E ancora mi è difficile definire da cosa questa sensazione prenda forma.

Difficile, ma forse non impossibile.


Da dove viene, ad esempio, questa familiarità?
L'ambiente descritto non è un ambiente particolarmente vicino alla mia esperienza personale, ma neanche lontano. Ci troviamo a contatto con persone normali, che vivono in residenze normali, con rapporti normali e problemi assolutamente normali, almeno fino ad un certo punto. Eppure c'è qualcosa di avvolgente e intricante che potenzia l'identificazione del lettore con i personaggi. Forse è quel modo di raccontare e mostrare dettagli che danno subito l'idea non tanto della situazione o dei caratteri, ma dei rapporti tra di loro.

Ad esempio: Arnie, il ragazzetto sfigato che acquista la macchina infernale, ci viene descritto da Dennis, il suo migliore amico. Cosa dice di lui? Ok, è bruttino e suscita un desiderio inconscio di prenderlo a sberle. Però, è anche uno in gamba, perché sa sempre cosa fare nelle giornate di pioggia, quelle in cui ti toccava stare a casa. E sa come costruire un formicaio, gioco che ha entusiasmato una loro estate intera. Questi dettagli ti fanno vedere non solo l'ingegno apprezzabile del nerd, ma anche la sua solitudine: niente giochi all'aperto con i ragazzini del quartiere, niente partite di baseball, niente gruppo. Solo Arnie e Dennis.
Dietro, come uno spettro, vediamo la famiglia di Arnie: cortese ma freddina, contenta di un figlio che non crea problemi e che crede che la figura di Dennis, da sola, supplisca ampiamente al bisogno di amicizie del figlio. Ma anche questo, almeno fino ad un certo punto, lo intuiamo, per poi averne conferma quando anche i genitori di Arnie acquistano una voce e si fanno conoscere attraverso il loro solito metodo: raccontando le loro relazioni, le loro esperienze.

Dall'altra parte c'è Dennis, descritto attraverso i battibecchi doverosi che ogni fratello maggiore ha con la sorellina minore, una mamma che per hobby gioca a fare la scrittrice, sostenuta dalla famiglia, anche se padre e figlio non possono fare a meno di ridacchiare tra loro delle storie che scrive, e un padre che agli occhi di un Dennis adolescente inizia per la prima volta a mostrare i segni di una vecchiaia incalzante. Quanti adolescenti hanno vissuto una simile epifania? O un simile rapporto di odio-amore con il fratellino minore? O di complicità segreta con uno dei genitori a discapito dell'altro?
Tutti questi dettagli, tutto questo raccontare di rapporti più che di singole persone, tutto questo rende i personaggi estremamente vividi, familiari.

Poi arriva l'evento fatale che distrugge gli equilibri. E ancora una volta, alla descrizione dei fatti viene sempre aggiunta quella dei rapporti tra i personaggi primari e secondari, attraverso ricordi e racconti di eventi passati. Così scopriamo il loro carattere non attraverso il modo in cui si comportano adesso, ma attraverso ciò che hanno vissuto o che sognano o che altri raccontano di loro, che siano personaggi positivi o negativi. Naturalmente, questo li avvicina al lettore che inevitabilmente si affeziona. L'unico che veramente non ha la possibilità di raccontarsi è il cattivissimo, il primo proprietario della macchina posseduta , forse perché il Male fa davvero terrore solo fin quando resta assoluto. Se ci infiliamo l'umanità, diventa comprensibile e, quindi, meno terrorizzante.

Ora, c'è un altro punto che per anni io stessa mi sono intestardita a professare: King ha belle idee, peccato per il suo modo di scrivere...

Ma scrive poi così male?

Prendiamo un esempio:
"I only hope it works that way," she said, and put her head on my chest. I touched her hair.
 "Spero solo che funzioni," disse lei, posando la sua testa sul mio petto. Le toccai i capelli.
Ok, due frasi freddine, rigide.
Un romanzo fatto tutto così mi farebbe rabbrividire, anche se non di paura.
Ma il fatto è questo: Christine non è affatto tutta così. Queste due frasi vengono messe lì come chiusura ad un capitolo in cui avviene poco e niente di sostanziale: assistiamo alla preparazione allo scontro finale. Ma a livello emotivo, questo stesso capitolo è un turbinio di sensazioni: terrore, dolore fisico, senso si colpa, bisogno di conforto, ansia, tristezza, tenerezza. E nel momento in cui tutto è pronto e non ci resta che aspettare, la staticità dello stile di queste due ultime righe rafforza il contrasto tra l'immobilità dell'attesa e il turbinio emotivo descritto fino a poche righe prima, mentre un senso di inevitabilità prende forma nell'ombra.

Tutto sommato, troppo scarso non sembra, vero? Ma, del resto, se King è così famoso e migliaia di aspiranti scrittori leggono il suo On writing in cerca di una guida, un motivo ci sarà.

Di certo questo non basta a spiegare la mia fascinazione di allora. Probabilmente il fatto di essere stata una lettrice giovane e inesperta ha enfatizzato molti dei punti di forza del romanzo, lasciandone magari in ombra i difetti. Eppure mi fa piacere, a distanza di anni, rendermi conto che, tutto sommato, le sensazioni che avevo provato allora sono sopravvissute alla prova del tempo.

Qualcosa mi dice che non tutte le letture che all'epoca trovai interessanti potrebbero reggere ad una simile prova del fuoco.


martedì 4 novembre 2014

Antefatto: quando i bambini dormono



Tanto tempo fa, durante il passaggio tra la scuola superiore e l'università, mi ritrovai a fare la baby sitter per un po'. La bambina a cui badavo era nell'età in cui non si è ancora abbandonata l'abitudine a due pisolini: uno a metà mattina e uno pomeridiano. Va da sé che nel tempo in cui lei dormiva, la baby sitter si guardava intorno con aria annoiata, senza saper bene come passare quel paio d'orette (spesso anche di più) in una casa poco familiare.

In quella stessa casa c'era una piccola libreria. No, niente di eccezionale: una di quelle basse, a tre scaffaletti. Più un mobile di arredamento che non una vera libreria. La mamma della bimba l'aveva comprata in una vendita a ribasso, con già dentro tutti i libri dall'aria importante e dai titoli dorati.

Presto detto: quella libreria in bella vista mi tentava. Inginocchiata sul pavimento, durante uno degli interminabili pisolini, mi misi a sbirciarne i titoli, cercando nomi conosciuti. All'epoca non potevo considerarmi una grande lettrice, anche se credo di poter dire di aver letto più io, in quegli ultimi due anni di professionale, che non tutta la mia classe messa insieme. Avevo avuto incontri ravvicinati con un D'Annunzio, un Dostoevskij, un Tolstoj e qualche Freud grazie alla biblioteca scolastica, anche quella poco più di uno sgabuzzino; eppure, sebbene avessi apprezzato la sostanza di questi capolavori, non avevo ancora sviluppato il gusto della lettura.

Adesso: immaginatemi lì, quasi prostrata davanti alla mini-libreria, presa a controllare le coste: Il signore delle mosche... La linea d'ombra... L'amante di Lady Chatterly... Christine, la macchina infernale - Stephen King...

Stephen King.

Anche se siete davvero a digiuno di letture, sapete sicuramente chi sia Stephen King. O almeno di che genere tratti. Ed io amavo quel genere, anche se conosciuto solo tramite la televisione.

Sfilai con attenzione Christine dal suo scaffale e, altrettanto prudentemente, ne iniziai la lettura. Quel "prudentemente" divenne "a rotta di collo" in poche ore e mi ritrovai talmente persa nella lettura da essere quasi incapace di fermarmi. Dopo qualche giorno di agonia in cui, con malcelata riluttanza, abbandonavo il volumetto sullo scaffale al momento di tornarmene a casa (momento che spesso coincideva con il risveglio della bimba dal secondo pisolino), la mamma della pargola mi disse: "portatelo via con te, me lo ridai quando l'hai finito".
Adesso che ci penso, quella è stata anche la prima volta che qualcuno mi ha prestato un libro.


Come spesso accade ai lettori, anche  a quelli in erba, Christine fu fagocitata in quattro e quattr'otto. Rimessa al suo posto con un pizzico di maliconia, mi sentii subito un po' sperduta. Come colmare quel vuoto? Ma naturalmente cercando un sostituto.
La bassa libreria sembrava ammiccare verso di me, quasi fosse posseduta anche lei da qualche potere oscuro e io, proprio come Arnie, il protagonista di Christine, mi lasciai convincere al volo. Non ricordo quale fu il volume successivo, ma ricordo di averli letti quasi tutti. Pochi furono quelli che non apprezzai affatto, ma anche quelli furono letti doverosamente fino alla fine.

Questa è stata l'origine della mia ossessione per i libri.
Buffo, vero? Tutto è nato non da un grande classico, non da un capolavoro moderno, ma da un racconto dell'orrore nemmeno troppo importante di Stephen King.

Ma cosa ci trovai, allora, di tanto esaltante? Cosa ci troverei ora, a rileggerlo, dopo tanto tempo?

Come dicono i cartoni animati giapponesi: to be continued...