venerdì 5 settembre 2014

Ancora su Val McDermin



Nello scorso post vi avevo detto qualcosa come: "Non dirò molto di più su Il canto delle sirene di Val McDermin". Ed invece ci ho ripensato; perché, spulciando qua e là commenti di lettori vari e, poi, andando a leggiucchiare tutto d'un fiato il secondo volume delle avventure del profiler Tony Hill, mi è venuta voglia di dire qualcosa in più.

Val McDermin, imm. da shetlandarts.com
Ma, non volendo rischiare di ricevere gli accidenti da quell'unico lettore che ha intenzione di iniziare Il canto delle sirene proprio la settimana prossima, lo dico qui a caratteri cubitali: tu, lettore incuriosito, smetti di leggere adesso questo post. Ripassa magari tra qualche giorno, per il prossimo. Io te lo dico: uomo avvisato...

E adesso vi racconto da cosa nasce questo mio bisogno di spoilerare barbaramente Il canto delle sirene e anche i sequel a venire. Andate su Amazon, cercate il libro menzionato e cliccate per far saltare fuori tutti i commenti. Scoprirete che tra una quindicina di pareri, dieci sono estremamente galvanizzati, 3 o 4 discretamente cauti tendenti all'apprezzamento e due assolutamente negativi. Siccome, da brava lettrice compulsiva, io sono usualmente restia a fidarmi troppo dei giudizi esaltati di altri lettori compulsivi, i primi commenti che di solito vado a sbirciare sono quelli negativi. E così ho fatto anche questa volta.
Vediamo un po', cosa ho trovato?

Il primo. Anzi, la prima. Ok, non ci ha capito nulla. Ma non perché sia tonta, ma semplicemente non è il suo genere. Perché da un romanzo che si anticipa essere alla CSI su serial killer e profiler non ti puoi aspettare delitti alla Don Matteo. Certo che ci sono scene raccapriccianti, certo che c'è un accanimento sui dettagli macabri di torture e mutilazioni. Altrimenti che gusto c'è?

"Serial killer". Immagine da themadrose.wordpress.com
Altra cosa che mi ha lasciato perplessa è il suo commento riguardo alla mancanza di una motivazione credibile. Questa affermazione mi ha gettato nel panico. Oddio, che mi sono persa? Presa dalla foga di vedere come va a finire, forse non ho dato troppo peso alle motivazioni del cattivo? Forse, intrigata dall'effetto, ho accettato per buono un motivo piuttosto fragile?
Mhhh...
No. A me sembra che la motivazione ci sia e che, sebbene non risulti roboante come quella di Hannibal Lecter (li uccido perché ci provo gusto a mangiarmeli) o come quella di un qualsiasi stupratore seriale, a me è sembrata convincente e nemmeno troppo banale. Diciamocelo: il serial killer non si prende facilmente proprio perché mosso da logiche deviate e completamente imprevedibili. Altrimenti sarebbe un gioco da ragazzi comprenderlo e prenderlo e i profiler non avrebbero senso. O sbaglio? E poi, come si fa a chiedere di rendere ragionevoli le motivazioni di uno psicopatico? L'importante è che il romanzo mantenga una coerenza e che il movente regga. Cosa che, secondo me, fa eccellentemente.

Ultimo appunto della commentatrice negativa: l'ambientazione. La storia si svolge in Inghilterra, ma non sa per niente di Inghilterra. Invece, come accennavo nell'altro post, leggendo già solo le prime pagine, io mi sono sentita catapultata in una periferia di Londra, o meglio, in uno di quei paesini subito alle porte di Londra, con il loro parchetto verde squadrato al centro della piazzona, le loro strade dei locali notturni sempre affollati di gente ubriaca e avvinghiata, il clima cupo e grigio, le casette a schiera: rieccomi a Londra ancora una volta.

Esaurito il primo commento negativissimo e liquidato più o meno in fretta, sono passata al secondo. Questa volta sicuramente è un uomo a parlare. Egli dice: "Tony Hill (lo psicologo profiler) non convince mai."
Ehm...
(Distogliete lo sguardo, voi futuri lettori del romanzo, ora più che mai!)
Perché non convince mai?
Perché è un uomo impotente. Sì, impotente in quel senso lì, avete capito, no?
Già: Tony Hill è figo! Un po' strano, insolito, perspicace, anche se non infallibile (diciamo che la poliziotta che lo affianca nelle indagini sembra più sveglia di lui, a volte), tuttavia Tony Hill sembra estremamente fragile. E qui si rende doverosa una spiegazione dettagliata del personaggio. Tony Hill riesce bene nel suo lavoro perché comprende a fondo i killer e i malati mentali che segue. Li capisce perché anche lui, troppo normale non è. Sta sempre lì lì, in bilico su quella linea sottile che divide sanità mentale da insanità e per non caderci dentro e dare sfogo a pulsioni che lo renderebbero davvero un killer, si costringe ad una castrazione subliminale e si rivela impotente. Naturalmente non è che lo viva benissimo questo suo stato, che non è proprio volontario.
Uno potrebbe pensare al riguardo: ma chi se ne frega, tutto sommato, delle impotenze di un uomo di carta. E avrebbe pure ragione, se non fosse che questo dettaglio è funzionale alla storia.

Ho provato simpatia per Tony Hill e il suo "problema", ma ho anche iniziato a considerarlo estremamente fragile, più fragile di molti caratteri simili con turbe mentali di perdita o di inadeguatezza. E mi sono chiesta: è perché la scrittrice è estremamente brava a caratterizzare il suo personaggio o è perché il tabù dell'impotenza maschile scalfisce anche la mia visione dell'eroe e dell'uomo in genere?
Non lo so, a dire il vero; questo è un argomento che non ho mai considerato. Ci devo pensare su. :)

Ma, per tornare al commento negativo del lettore qui sopra, lui dice che il protagonista della serie poliziesca Wire in the Blood, telefilm inglese uscito tra il 2002 e il 2008 che si ispira ai romanzi della McDermin, risulta molto più convincente di quello del romanzo. Io ho sbirciato il primo episodio della serie. In realtà, l'ho fermato a metà: un po' perché ormai la trama la conoscevo, un po' perché il personaggio non era Tony Hill. Questo televisivo sembra una copia un po' (troppo!) caricaturata di Sherlock Holmes. Distante dal vero personaggio anni luce! Non so se la sua impotenza salta fuori nel film, non ne ho visto abbastanza. In ogni caso, se vi va, lo trovate anche su youtube. Ma meglio il romanzo, ve lo consiglio.

Prima di finire questo post chilometrico, vi tengo informati e vi dico che ho anche finito il romanzo The Wire in the Blood - 1997 (il titolo della serie tv deriva da qua). Anche questo l'ho divorato. Ed anche questo mi ha stupita.
In televisione, a volte capita che, dopo un certo numero di puntate, ci si ritrovi a piangere la morte di uno dei protagonisti. Fa colpo e commuove, lasciando aperte nuove possibilità per altri personaggi. Ma in un romanzo? Uno scrittore passa buona parte dei primi capitoli a cercare di rendere credibile e caro al lettore un personaggio per poi toglierlo di mezzo???
Sì, succede anche questo. E succede anche che noi, ed anche Tony e la sua squadra, sappiamo fin dall'inizio chi è l'assassino e il difficile non è scoprirlo, ma incastrarlo.

Ecco qua, vi ho rovinato ben bene le sorprese nelle letture di Val McDermin, vero?
Se vi piace il genere, questa scrittrice vale la pena. Ve lo dico convinta perché, sebbene non mi capiti spesso di tuffarmi in simili letture, ultimamente mi ci sono dedicata un po' e ho potuto fare dei paralleli. Ma questo ve lo racconto la volta prossima.


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