giovedì 15 maggio 2014

Libri elettronici e libri di legno



E adesso vi racconto come sono capitata a leggere la storia di Enzo Baiamonte, radiotecnico cinquantenne, scapolo, palermitano.
Ebbene, è stato uno di quei casi la cui colpa è ascrivibile a coincidenze astrali non ben specificate, magari accoppiate ad un senso di lasciva immobilità che colorava un tardo pomeriggio estivo (si fa presto a dire "estivo"! Qui dove stiamo è sempre estate ; P), afoso, insulso ed abbandonato. Abbandonato dall'Harry Quebert del post precedente che aveva posto la parola Fine sull'ultima pagina dell'ultimo capitolo. Eggià, ero in piena crisi d'abbandono da romanzo divorato e tergiversavo su cosa mi sarei potuta leggere per rimpiazzare il senso di perdita - che, ad essere sincera, non era così devastante, ma un pizzico di drammatizzazione non guasta mai.

Insomma, diciamolo chiaro e tondo: mi annoiavo.

Gatto pigro ed annoiato, preso da Persephone magazine.

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Ed eccolo qua, il romanzo perfetto:
- un titolo accattivante: Il libro di legno (La memoria), di Gian Mauro Costa, 2010;
- un'edizione di cui uno, in genere, si fida: Sellerio;
- un prezzo che fa ridere i polli - di felicità, naturalmente (offerta lampo a 99 centesimi);
- un "giallo" scritto sotto il titolo, tanto per rimarcare quello che la copertina mi aveva già suggerito.
- un radiotecnico palermitano come protagonista che, per arrotondare un po', a tempo perso fa il detective privato.

Gian Mauro Costa presenta Il libro di legno.  
Immagine da Alia Notizie
A dire il vero, se avessi considerato solo quest'ultimo dettaglio forse non l'avrei preso troppo in... considerazione, appunto.Beh, un radiotecnico che ripara televisori e tubi catodici e, nel contempo, risolve casi? Anche se nell'altro post dicevo che i migliori detective sono quelli che non ti aspetti, questo mi sembra un po' esagerato.
Ma poi, durante la storia, si scopre il personaggio - delizioso! - e gli si perdona che, per arrotondare lo stipendio da fame che l'era del plasma gli rosicchia sempre più, si è ridotto a fare lo scagnozzo di un avvocato di dubbia morale che di tanto in tanto lo manda a fotografare squallidi amanti colti in flagrante. Ecco, questo genere di detective di sicuro non te lo aspetti come protagonista di un bel giallo.

Giallo? Beh, forse l'aspetto giallo non è proprio la sfumatura migliore del romanzo. Sì, c'è un mistero, una ricerca, cosette così, ma a mio parere tutti questi ingredienti non hanno una reale forza persuasiva.
La sua forza sta in altro.
Prima di tutto nella descrizione di una Palermo vissuta attraverso gli occhi di chi ci è cresciuto, di chi, pur non accettandone le dinamiche, le racconta come normali, come vita quotidiana. Questa è la scena che il malinconico, ma non triste, Enzo Baiamonte si ritrova a percorrere, tra realtà diverse di questa Palermo dipinta con uno stile perfettamente evocativo.

Evocativo: quanto detesto i critici che tirano fuori questa parola quando meno te l'aspetti, pretendendo che la sua sola presenza illumini tutto il senso. Io non l'ho mai capita fino in fondo, ma leggendo I libri di legno ho creduto, finalmente, di avvicinarmi al suo significato. Davanti allo sguardo della mente si illuminano scene di un passato ancora colorato di sensazioni. I bambini che tirano calci al pallone in mezzo alle strade polverose, la luce che entra nella penombra di una stanza rimasta ferma nel tempo atraverso una tendina pulita, persino il vecchio laboratorio da radiotecnico, buio, riempito di scatole colme di rottami misteriosi. Ogni immagine parla di un passato che io ho conosciuto da bambina e che sembra ancora sospeso sulla Palermo immota di Enzo Baiamonte. Ed è questo, molto più che non il mistero un po' fiacchino, quello che intriga del romanzo.

Ma per ora basta con i polizieschi. La lettura di parole belle, quelle di Gian Mauro Costa, mi ha fatto venire voglia di altre parole belle, italiane, ormai lontane dal gusto e dalla filosofia odierna.
Ma prima, vi tocca subire lo stacchetto!


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