domenica 27 aprile 2014

Vapore ed esperimenti



Io odio la pubblicità. Raramente diventa arte. La maggior parte del tempo cerca di abbindolare e di circuire spudoratamente, senza remore.

   
Esempio di pubblicità
insulsa, Pinterest
Non sto parlando solo della pubblicità televisiva, quella che spezza barbaramente o che spiattella sullo schermo immagini sensazionali - e spesso al limite del buon gusto.
Parlo anche di tutta quella serie di blog di presunti scrittori che imbrattano pagine e pagine solo per sponsorizzare il proprio libro. Per questo, anche se mi capita di imbattermi in blogger che danno realmente un contributo alle mie conoscenze e, soprattutto, che mi divertono (e a dir la verità non è che quest'ultima evenienza capiti spesso), non corro subito a leggere il loro ultimo capolavoro, ma li guardo con sospetto per un po', li osservo parlare, muoversi nella rete; li spio, insomma. E solo dopo essermi convinta che di loro mi posso fidare, vuoi per come scrivono, vuoi per le idee che saltano fuori di tanto in tanto, solo allora mi azzardo ad acquistarli.

Ma non capite male, non è disprezzo a priori per le matricole! Diciamo che è disprezzo per l'uso che si fa del blog: mera uscita pubblicitaria. E io che magari lo seguo, mi sento un po' tirata come l'acqua al mulino solo per diventare un acquirente di fiction di non precisato livello.

Tuttavia, se da una parte odio i blog pubblicitari, dall'altra amo gli esperimenti letterari. Mi piace scoprire le possibilità dei generi, gli intrecci ibridi e le sorprese. Naturalmente se fatte con criterio.

Questo sia detto per giustificare la lettura di questa piccola opera dal titolo bizzarro: L'itala Giuditta. Opera SteamPunk in cinque atti di Chiara Prezzavento. Proprio lei, quella che vedete nella lista dei blog che seguo.

Ok, il titolo (L'Itala Giuditta) non mi ha mai fatto fare i salti di entusiasmo. Il risorgimento italiano, argomento a cui il titolo fa eco, ecco... diciamo che non è affatto il periodo storico che mi appassiona di più. Poi c'è quel riferimento allo Steampunk, soggetto che guarda caso sto iniziando a corteggiare. E quel "Opera in 5 atti", che come minimo fa riferimento al teatro o, con più pertinenza, all'opera.

Ricapitoliamo: Risorgimento, Steampunk, Opera.
Giuditta Pasta, tratta da Wikipedia.
Cosa ne salta fuori?
Un racconto lungo costruito in cinque atti come fosse un'opera lirica, narrato in prima persona da Giuditta Pasta, una protagonista del bel canto dell'800 in pensione (diva delle scene realmente esistita) che si getta a capofitto nei moti rivoluzionari di un passato parallelo, dominato da congegni e diavolerie a vapore. Da far notare anche che non solo la protagonista si atteggia ad eroina da palcoscenico, ma parla anche come quelle, nell'italiano dei libretti ottocenteschi, ed ecco che la panoramica dell'esperimento è chiara.

La Clarina racconta bene. Padroneggia bene il linguaggio del secolo scorso-scorso (leggi: '800) e, nonostante qualcuno dica che questo uso rallenti la lettura, io, invece, mi permetto di dire che il suo linguaggio librettistico, in bocca alla Giuditta Pasta, ne esce alleggerito, fino a diventare piacevolmente ornamentale. L'atmosfera deliziosamente retrò affascina, ci si immerge completamente in un mondo in cui di tanto in tanto svolazzano vaghi marchingegni fantastici che in fondo non danno troppo fastidio; fino a quando questi non si appropriano della scena e allora da una atmosfera squisitamente romantica si passa a quella fantasticamente steampunk. Il lettore che si era accoccolato nella piacevole caratterizzazione dei bei tempi che furono, cioè io, si ritrova catapultato all'improvviso in uno scenario nuovo in cui la dama che si immaginava rivoluzionaria diventa davvero una scapestrata ladra di macchine volanti, nonostante la pinguedine e l'età. Ed allora, un po' col rimpianto di veder cambiare tenore alla storia, ma anche con la curiosità di vedere dove si va a finire, ecco che quel lettore, ossia sempre io, si ritrova diviso tra due sentimenti contrastanti e il dubbio seguente: quanto numeroso sarà il pubblico che saprà apprezzare l'audacia di quest'opera?

Forse pochi altri insieme a me, gente che non si lascia spaventare da accostamenti improbabili di primedonne operettisticamente risorgimentali e fantasiosi svolgimenti steampunk alla Il castello errante di Howl.

In ogni caso, poco ci importa di tutti i lettori mancati. A me ha divertito seguire la traiettoria di questo ibrido italiano, prodotto di sperimentazioni a vari livelli. Ed anche se devo ammettere per onestà che la storia in sé non è poi così ricca di grandi colpi di scena (ma del resto credo sia anche un po' colpa della struttura, dei  tempi che non lasciano grandi margini all'estro creativo), posso dire che ho apprezzato l'esperimento.

E se la Clarina si ritroverà la sua opera scaricata da un paio, forse tre lettori in un sol colpo, non ditele che è stato per colpa mia!  ; D


mercoledì 23 aprile 2014

Fantascienza a vapore



Quante cose si imparano semplicemente leggiucchiando qua e là, a tempo perso. Ad esempio, un lettore poco esperto di sci-fi, gironzolando per caso in cerca di notizie, può ad un certo punto imbattersi in definizioni che, potenzialmente, suonano anche un po' grottesche, quali Cyberpunk, Steampunk, Distopia e cosette del genere.
Ecco, non è che adesso mi metto a pignoleggiare su tutti i lemmi che compaiono sull'enciclopedia sci-fi, ma tanto per dare un po' l'idea di come si dipanano i sentieri delle mie letture, devo raccontare un po' da dove sono partita e dove sono arrivata, no?

Sono partita da un'immagine che poi mi ha condotto ad un articolo su una presunta paternità, o comunque parentela, tra il genere steampunk e E. A. Poe. L'articolo non lo ritrovo più, disordinata come sono, ma l'immagine non è difficile da scovare.

The Fall of the House of Usher,
Zdenko Basic e Manuel Sumberac.

Fa parte delle illustrazioni di Zdenko Basic e Manuel Sumberac per il libro Steampunk Poe (2011), che poi in verità è una raccolta di racconti e poesie di Edgar Allan Poe che poco c'entrano con lo steampunk. Ma, sorvolando sui dettagli e ammettendo ancora una volta la mia infinita ignoranza, mi sono sentita spuntare il famoso punto interrogativo sulla testa: cosa è lo steampunk?

Lo steampunk è un sottogenre della più famosa fantascenza. Diciamo che è una delle sue tante deviazioni che prende piede piuttosto tardino, se si pensa che uno dei principali romanzi additati come fondatori del genere è The Anubis Gate di Tim Powers, 1983 . In un romanzo steampunk ci troverete sempre un passato parallelo (spesso le storie si svolgono nella Londra di epoca vittoriana) in cui la tecnologia fantascientifica è sostituita dalla meccanica fantascientifica e il vapore (steam, appunto) è la forza propellente di macchine, armi e computer in un mondo un po' vero, un po' inventato.
Ogni tanto ci mette lo zampino anche un po' di magia, un po' di stregoneria, insomma, elementi completamente fantastici.

Per farmi un'idea di cosa potesse accadere in un mondo dominato da tizi che dovrebbero somigliare a questi:
 
Immagine presa da Wikipedia

mi sono andata a leggere proprio quel The Anubis Gate di Tim Powers.

Qui dentro ci entra tutto! Non solo la meccanica, ma anche la tecnologia fantascientifica, e tante, ma tante altre cose. La lista? Eccovi accontentati:

Viaggi nel tempo;
Magia e stregoni;
Clown alla IT (Stephen King - peccato che IT sia del 1986, altrimenti avrei potuto trovarvi un filo inverso);
Poeti 800eschi (Coleridge e Byron, per dirne un paio);
Shapeshifter (sono chiamati con un altro nome, ma in sostanza sono simili a quelli di X file o Supernatural);
Donne travestite da uomini che fanno le eroine;
Corte dei miracoli con banchetti pantagruelici;
Esperimenti per creare ibridi umano-fantastici;
Londra Dickensiana;
Cloni;
Passati alternativi/realtà parallele;
Intrighi politici;

Ah, dimenticavo: una spruzzata di mitologia egizia, che non fa mai male.

Come fa Tim Power a far quadrare tutto? Una magia. Ci riesce, questo sì, ma con fatica (mia) di seguire un filo ben equilibrato.
Di difetti ce ne sono, e sono anche abbastanza fastidiosi, almeno per la pignoletta che sono.

Ad esempio: è bello ritrovarsi in due diverse situazioni passando da un paragrafo all'altro, magari cambiando scenario e personaggio senza anticipazioni, ma farlo in maniera drastica, senza dare indizi che ti portino a pensare chi stia attraversando quel fiume o cosa ci fa un fiume in mezzo al racconto di punto in bianco e per di più saltato fuori proprio mentre l'altra situazione non era ancora completa, allora mi scoccia un po', perché è come azzerare l'avanzamento precedente e ricominciare tutto da capo: nuovo personaggio o, nelle migliori delle ipotesi, nuova cornice scenica per il personaggio che stava facendo tutt'altro, nuovo rapporto tra gli attori che stiamo seguendo, nuovo contesto e nuove motivazioni. E siccome questo lo fa in continuazione e non solo all'inizio, come sarebbe anche simpatico fare, e considerando che ci si perde una buona paginetta se non due a tirare un pochino le somme, dopo un po' questa tecnica da' sui nervi (almeno a me).
Mettiamoci anche lo scombussolamento iniziale che il caos di espedienti narrativi, gettati così davanti al lettore apparentemente senza logica (anzi, proprio senza logica, visto che solo verso la metà molti di quei misteri elencati lassù iniziano ad avere una parvenza di senso), dona ad una mente abituata ad avere un bell'ordine non tanto narrativo, ma di sviluppo narrativo sotto lo sguardo. E poi a tratti i personaggi scompaiono per capitoli e capitoli, riemergono un po' frastornati e maltrattati, poi riscompaiono e vivono vite parallele e uno si chiede se hanno davvero bisogno di vivere qui, in questo romanzo, e quanti romanzi avrebbe potuto raccontare, il nostro scrittore, se avesse sviluppato la materia in maniera rispettosa (per i contenuti, naturalmente).


Il Clown di IT, film del 1990, ripreso da qui.
Lo ammetto: a volte mi sono ritrovata persino a sbadigliare. Non che le trovate non siano brillanti, o almeno la gran parte (e basta con questi travestimenti della donna in uomo per fare la super eroina!), ma la scrittura mi ha un po' scoraggiato a tratti.

Nonostante questo, non si fa fatica a ritrovare tracce del passaggio di The anubis gates sulle scrivanie di vari scrittori e sceneggiatori che da quel "lontano" 1983 hanno spiluccato i suoi contenuti, magari riadattandoli o sviluppandoli a modo loro.
Già solo per questo varrebbe la pena buttarci un occhio.

Ma adesso, dopo avercelo buttato, me lo riprendo e continuo verso orizzonti più domestici.





domenica 20 aprile 2014

Intermezzo pasquale






Tra una cosa e l'altra è arrivata ed è anche volata via la Pasqua.
Avrei voluto proporre qualcosa in tema, magari leggiucchiarmi un libricino-ino-ino che potesse riprendere lo spirito della festività, ma ammetto che quest'anno la Settimana Santa mi è cascata tra capo e collo senza quasi che me ne sia accorta. E così, tra cartoline e lavoretti non spediti in tempo, torte non preparate e caccia alle uova non compiute, mi ritrovo pure in ritardo a mandare gli auguri in formato blog.

Prima di assolvere con piacere al compito, però, a dire il vero ho un frammento di lettura da proporre:
Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto". Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Ella si voltò e gli disse in ebraico: "Rabbunì!" - che significa: "Maestro!". Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"". Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: "Ho visto il Signore!" e ciò che le aveva detto. (Gv 20, 11-18)
Ecco, questo è uno dei passi più toccanti, secondo me, del Vangelo di Giovanni. Dopo che, avvertiti dalle donne, Giovanni e Pietro corrono al sepolcro, vedono la tomba vuota e se ne tornano dagli altri, Maria di Magdala resta sola, a piangere; e piange così forte al pensiero che persino il corpo martoriato del suo Signore le sia stato portato via che Lui si impietosisce e resta con lei a consolarla prima di tornare al Padre.
Ed a lei che non riusciva a rassegnarsi, che con il suo pianto Lo trattenne, la prima ad averLo visto risorto, a lei spetta il compito di annunciare la Resurrezione di Cristo.

Buona Pasqua.




sabato 19 aprile 2014

Il conte nello spazio



Vi ricordate Stephen Fry e il suo The stars' tennis balls?
No no, perdonate. Avrei dovuto iniziare così:
Vi ricordate de Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas?
Beh, non farete certo fatica a ricordarlo, vista la mole di post che gli ho dedicato.

Il Conte, come abbiamo già ampiamente visto, ha ispirato una grande quantità di artisti: registi, cantanti, poeti e romanzieri vari. Tra quest'ultima categoria Stephen Fry non è stato l'unico a trovarvi la sua musa. Uno tra i vari è stato anche un certo Alfred Bester, a noi comuni lettori sconosciuto, ma molto importante tra gli adepti della Sci-fi. E qui si apre una prospettiva mirabolante, all'inseguimento nello spazio di uno dei surrogati del nostro Conte. Impossibile esimersi da questa avventura.

 Copertina della rivista Galaxy,
 presa da Wikipedia
Il titolo del romanzo di Alfred Bester è The stars my destination. Pubblicato inizialmente in quattro parti sulla rivista Galaxi Magazine nel 1956 (era prassi pubblicare fantascienza a puntate su riviste specializzate), la prima volta che è uscito in volume unico prese il titolo Tiger! Tiger! .

Su questo romanzo si potrebbe discutere per molto tempo: sugli influssi che ha ricevuto da Il Conte di Montecristo, sul posto che occupa all'interno dello sviluppo del genere, sullo spazio che l'elemento fantastico si prende, sull'impatto sulla critica.
Ma noi ne esploreremo giusto un paio, tanto per dar corpo ad un post con un briciolo di senso, ma senza esagerare. Come al solito, insomma. :D

All'inizio, la fantascienza era un genere dalla grande ambizione: educare i suoi lettori ai contenuti scientifici attraverso storie tecnicamente realistiche. Era questo che si proponeva Hugo Gernsback, il fondatore di Amazing Stories, la prima rivista americana di fantascienza che, oltre a coniarne il nome, ne segna anche la data di nascita ufficiale (5 aprile 1926).
Visto lo scopo, non fa meraviglia che, almeno all'inizio o nelle intenzioni primitive, le storie predilette assomigliassero più a quelle pedantescamente precisine di Verne. Ma ben presto il pubblico dimostrò "stranamente" di preferire i romanzi in cui ci fosse un po' più di elasticità fantastica. Così divennero sempre più popolari opere in cui qualche elemento non proprio scientificamente probabile diveniva parte integrante, se non perno fondante, della storia. Perché la cosa interessante diveniva, ancora una volta, non tanto "come funziona (o potrebbe funzionare)", ma "cosa succede (o potrebbe succedere) se..." . Lo studio delle implicazioni sociali apportate da questi sviluppi scientifici diventa più interessante.
A questo secondo genere, detto generalmente soft science fiction, appartiene The stars my destination.
L'altro filone, quello che si tiene nel campo dello "scientificamente plausibile", invece, viene definito  Hard science fiction. Ma tanto basti in fatto di definizioni e storie del genere.

Per comprendere in che modo The stars my destination si scosti dall'hard science fiction basterà, come al solito, dedicarci ad uno spoiler spietato.

Howard Chaykin, 1979. Vignetta ripresa da Philip Sandfer.

In breve: l'uomo del prossimo futuro sviluppa una capacità della mente che ancora ci è sconosciuta: quella del teletrasporto. Conoscendo le coordinate spaziali, avendo in mente il luogo in cui vogliamo recarci, con un solo atto di volontà possiamo "saltare" in quel luogo in una o più tappe, a seconda delle nostre capacità mentali. Naturalmente, questo porta delle trasformazioni enormi nella società. Pensate alle implicazioni: non solo non c'è più bisogno di prendere l'autobus per andare al lavoro, ma il lavoro puoi scegliertelo anche dall'altra parte del mondo,le città si trasformano, la globalizzazione diventa il pane quotidiano dell'umanità e chi non è capace di teletrasportarsi va da sé che diviene un povero emarginato.
A questo punto, però, c'è la fregatura: non si può usare il teletrasporto nello spazio. Ed è un peccato, visto che l'uomo ci è arrivato nello spazio, naturalmente, e ha traffici un po' con tutti i pianeti della Galassia.
Mettiamoci nello scenario anche caste di ricconi che tengono in mano il destino dell'universo, guerre galattiche in corso, traffici di schiavi e simili ed ecco che avete il quadro della situazione. 

Arriviamo così ad incontrare quel povero Gulliver Foyle, per gli amici Gully, che ad un certo punto si ritrova solo soletto, sperduto nello spazio su un rottame di nave cargo spaziale.
Isolato da mesi ormai, costretto in una bara di stanzino, l'unica parte della nave in cui il sistema di aerazione sia ancora funzionante, sfiora per un momento la salvezza quando una nave spaziale gli passa vicino... e lo ignora! Da qui nasce il sentimento di vedetta che darà propulsione al tutto e diverrà il motivo per cui Foyle non solo si salva, ma progredisce. Evolve, se vogliamo dirlo papale papale.

Ebbè, mi direte voi, e il resto del Conte?
Ok, c'è anche una prigione da cui è impossibile scappare, una fuga rocambolesca e un maestro che lo educa nel periodo della prigionia, anche se lontano anni luce dal nostro Faria originale. Ah, e il ritorno, anche qui come in Montecristo, sotto un falso nome nel tentativo di adempiere questa vendetta impossibile, che alla fine non viene consumata perché il nostro eroe "matura".
Ecco, a questo punto le similitudini di qualche valore con il Conte finiscono. La vendetta come movente di sopravvivenza ed "elevazione" (anche se non proprio morale) sembra essere il punto di unione principale tra i due almeno per un po'. Ma poi Bester segue altre scie che lo portano a lezioncine socialistiche e ad elevazioni spirituali in pieno spirito ottimistico, quello tanto caro alla prima fantascienza che crede fermamente nell'uomo evoluto e nella sua aspirazione naturale ad una società giusta e buona.

The stars my destination nella versione Penguin Book Uk.
E io che mi aspettavo un Conte intergalattico sono rimasta con una specie di trasposizione buddista-socialista della parabola del viaggio verso la perfezione dell'uomo.
Alcune idee sono apprezzabili, come la sinestesia che ad un certo punto il personaggio vive (e che l'edizione Penguins book Uk rappresenta a meraviglia. Chissà se anche l'originale aveva gli stessi effetti speciali. Il mio e-book no). 

Lo so, non ci avete capito un granché. In effetti la trama porta verso molteplici chiavi di lettura, tutte ammiccanti all'evoluzione dell'uomo quale individuo e quale essere sociale. Se volete una buona recensione che, oltre a spoilerare ancora di più il romanzo, se possibile, dona anche qualche aulico spunto di riflessione sull'influsso di Blake - sì, proprio quel Blake poeta della fine del '700 -, allora leggetevi Philip Sandifer. Dopo un'introduzione che non c'entra molto, troverete una piacevole lettura.

Non dirò di non aver apprezzato il romanzo, anche se le atmosfere della fantascienza di Bester a volte mi risultano un po' incartapecorite. Ma diciamo anche che questo è un romanzo del 1956, uno degli antesignani del futuro genere Cyberpunk. Gli perdoniamo, quindi, di "sembrare" un po' datato, no?

Più difficile mi risulta perdonargli di aver associato il Conte ad un personaggio come Gully Foyle. Ma questo lo dice una fan accanita del Conte, non la lucida lettrice di romanzetti a tempo perso che imbratta questo blog.  ; D



lunedì 14 aprile 2014

Tra lo spazio e il tempo



Nelle scorse letture ho trovato talmente piacevole I primi uomini nella Luna di Wells che mi sono detta: perché non leggersi qualcos'altro di questo autore?
Prima di quel titubante approccio non è che avessi mai provato interesse per i suoi romanzi, sia detto chiaro e tondo. Magari avevo vagamente idea di cosa raccontasse La guerra dei mondi (1897) o L'uomo invisibile (1897), giusto per aver visto i film del 2005 con Tom Cruise o quello del 2000 con Kevin Bacon (L'uomo senza ombra), ma in genere, a me, la fantascienza e simili non ha mai fatto impazzire. Per questo non ho mai provato la curiosità di approfondire un genere che nel migliore dei casi associavo a letture per ragazzi.


Gli scienziati di The big bang theory incontrano la macchina del tempo.
Ripreso da nothanksidratherread.

Adesso che ho le idee un po' più chiare, posso solo dire che non è, come per lungo tempo ho creduto, un sottogenere da adolescenti. Al contrario, è qualcosa di molto complesso.
Naturalmente mi affaccio appena alla sua conoscenza e, non avendo molta esperienza, non ho una visione completa. Ma piano piano mi sto facendo un'idea. Ad esempio: mi è sembrato di capire che ci sono due sviluppi diversi nel genere: quello che va verso la conquista dello spazio e quello che va verso la conquista del tempo.

Se tutte le storie di Verne e di Wells che hanno la Luna o Marte come meta portano verso la conquista dello spazio,  La macchina del tempo (1895) inaugura invece la conquista del tempo. Per questo mi sono buttata su quest'ultimo a testa bassa.
Questo breve libricino, pieno di teorie sul tempo, vaghe invenzioni e panorami sociali futuri piuttosto angoscianti ispirati alle teorie evoluzionistiche, offre in potenza tutta una vasta gamma di scenari possibili che presto altri scrittori riprendono e amplificano fino a dar vita a speculazioni di ingegneria non solo tecnologica, ma anche sociologica, quando non filosofica.
Un esempio illustre: Asimov col suo La fine dell'eternità (1955).

Solo una sessantina di anni separa il nostro viaggiatore nel tempo dal portagonista de La fine dell'eternità, eppure l'uomo di Asimov ha già sviluppato un complicato mezzo temporale che gli permette non solo di viaggiare ovunque, o quasi, attraverso un lasso di migliaia di secoli, ma anche di operare sulle varie realtà temporali allo scopo di evitare sviluppi ritenuti dannosi per la sopravvivenza dell'umanità.

E qui, le domande che Asimov si pone sono degne delle divagazioni sociologiche di Wells: dove porta l'evoluzione di un'umanità in cui tutte le grandi crisi sono evitate? Fino a che punto è eticamente giusto intervenire nel tentativo di cambiare il corso della storia? Può una casta, per quanto "dotta", interporsi al naturale sviluppo delle cose? E dove si colloca il diritto al libero arbitrio?

Acceleratore di particelle, preso da Denise Malia.
Non c'entra con i viaggi nel tempo,
ma ricorda la sensazione che ho avuto leggendo
del Kettle temporale di Asimov.
Tanta carne al fuoco, è vero, eppure ottimamente cotta e insaporita. Ci sono colpi di scena che davvero non ti aspetti e descrizioni visionarie di futuri inimmaginabili, paradossi egregiamente espressi; insomma, cibo per nutrire la più fervida immaginazione per nottate intere. 

Senza contare che, in qualche modo, anche Asimov sembra rendersi conto delle due direzioni in cui la (fanta) scienza sta andando (ricordate? Verso la conquista dello spazio o del tempo?) e, in un certo senso, sembra dire "una esclude l'altra".
Ma raccontarvi di questo sarebbe spoilerare pesantemente il romanzo. E quindi mi trattengo a malincuore dal farlo.

L'unica cosa che vi racconto è il senso di straniamento totale che per la prima volta mi è capitato di sperimentare saltando all'improvviso in un romanzo. Nessun avvertimento, nessun prologo (non sto qui a dire che non avevo letto la trama apposta, per non rovinarmi le sorprese). Solo la voce narrante che descrive un "luogo", una navicella, un qualcosa in cui si entra, ma di cui non si intuisce nulla, almeno non subito, nemmeno lo scopo. E tra barre verticali e campi magnetici, io, che non ne capisco proprio nulla di ingegneria-tecnologia etc., sono rimasta a bocca aperta, sfregandomi gli occhi come una bambina, nel tentativo di capire in che realtà fossi capitata. Devo dire che Asimov non ha la sua nomea per niente e in pochi capitoli riesce a spiegare persino a me come funziona il kettle del tempo e persino come sono architettate le diverse realtà dei secoli e millenni (da quelle che usano specchi e luci come materiali di costruzione, a quelle che usano fasci magnetici, etc. etc.).

Insomma, una bella avventura, piena di spunti e sorprese e che, oserei dire, c'entra ben poco con adolescenti sognatori.



venerdì 11 aprile 2014

Stacchetto foto-mongolfiero



Oggi lo stacchetto lo dedico ad un personaggio curioso dell'800, fotografo ed anche giornalista, caricaturista e, non sottovalutiamolo, aeronauta: Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar (1820-1910)

Come fotografo, beh, ha una lunghissima carrellata di foto di grandi personaggi al suo attivo. Tanto per dirne qualcuno: Alexandre Dumas (padre e figlio), Jules Verne, suo amico che ne rifarà a sua volta il ritratto in De la Terre à la Lune nel personaggio di Ardan - l'intrepido francese che offre di essere spedito sulla luna -  Baudelaire, Balzac, etc. etc.

Nadar non è un semplice fotografo, ma anche uno sperimentatore. Ad esempio ha creato un autoritratto rotante (1865):




Vertiginoso, vero?

Honoré Daumier (1808-1879)
"Nadar eleva la fotografia ad altezza d'arte"
Litografia
.






E poi ha unito le sue passioni, la mongolfiera e la fotografia, per creare le prime foto panoramiche di Parigi.














 E le caricature?
Ecco qui il nostro Maquet nel 1854:








Se volete saperne di più o scoprire un pochino il mondo di questo curioso personaggio, andate a sbirciare imieipin su Pinterest. C'è anche un autoritratto di Nadar immortalato nelle catacombe di Parigi. Vi ricordate? Ne abbiamo parlato qui un po' di tempo fa. E anche questo potrebbe essere interessante:




 Un bel tipo, il nostro Nadar, vero?




lunedì 7 aprile 2014

Primi uomini nella luna






Ecco qui un'altra vignetta esilarante da Hark! A vagrant. E come è chiaro, il romanzo successivo che mi sono letta è stato quello di H. G. Wells, del 1901: The first men in the Moon. Anche qui, ancora il sogno di raggiungere la luna, ancora la curiosità di vedere dove l'uomo può arrivare.

Nonostante ciò, e nonostante poi entrambi gli scrittori vengano additati come padri della fantascienza, c'è un'enorme differenza tra la visione di Verne e quella di Wells. Per Verne è importante il "come": come si arriva sulla luna? E nel "fantasticare" sui possibili modi, si tiene sempre nei limiti del possibile.

H.G. Wells
Per Wells, invece, l'importante non è come, ma il "cosa" ci aspetta: una volta arrivati lassù, cosa si troverà? Il mezzo con cui arrivarci, su quel  "lassù", non ha molta importanza. I suoi protagonisti arrivano sulla luna grazie ad un materiale antigravitazionale, la carovite, totalmente inventata dalla fantasia di Wells. E Verne, una volta letto il suo romanzo, gli rimproverò questa sua invenzione, proprio perché assurda. Ma Wells fece spallucce: il soggetto che gli interessava non era la scienza e la tecnica e i loro traguardi, ma le speculazioni sull'impatto che lo sviluppo scientifico poteva avere sulle società del domani.

Vista in questa ottica, la sua produzione, naturalmente, risulterà meno tecnicistica di quella di Verne e più focalizzata verso un'evoluzione che non si riduce a quella biologica, ma che tocca inevitabilmente anche quella sociale. Così è interessante studiare questi Seleniti che vivono nella luna, al riparo dalle temperature glaciali della notte e quelle desertiche del giorno. Esseri che, in base alla loro propensione naturale, sviluppano fin dall'infanzia una sola capacità fisica o mentale, atrofizzando il resto; da questa selezione, nasce una società in cui ognuno ha un suo compito preciso, svolto non come costrizione, ma come profondamente appagante (anche se, ammettono i Seleniti, qualcuno dei giovani esseri che vengono sottoposti al training finalizzato a sviluppare la capacità per cui dimostrano attitudine, possono dimostrare una sorta di lieve insofferenza al trattamento). La società che ne viene fuori? Felice, ordinata, priva di conflitti.

Perché anche questo è uno dei tratti propri di Wells e della fantascienza che da lui prende piede: l'ottimismo  nel prodotto finale dello sviluppo scientifico e sociale che indubbiamente ne deriverà.

The First Men In The Moon,
copertina originale, 1901.
Ecco, questo è il corpo centrale del romanzo e per questo, sicuramente, viene ricordato. Ma durante la lettura, un'altra cosa ha davvero colpito la mia immaginazione: la bruta giustapposizione di una realtà estremamente extra-terrestre (intesa come completamente diversa da quella terrestre) e quella squisitamente inglese della prima parte del romanzo. Mentre si descrivono le circostanze per cui i due protagonisti, uno scienziato un po' svampito e uno speculatore in bancarotta, si incontrano, salta subito all'occhio una campagna inglese così ben schizzata da affascinare per la sua vividezza. La natura, nonostante ritratta non proprio nel suo massimo rigoglio, offre un forte contrasto con i paesaggi lunari. Ed anche se noi sappiamo che la Carovite non può essere sintetizzata o che non ci sono Seleniti, né piante o funghi bizzarri che vivono solo la stagione del giorno lunare, l'accostamento di questi quadri diversi risulta così efficace che riesce a rafforzare non solo il senso di straniamento della voce narrante una volta sulla luna, ma anche la nostra propensione a credere nella genuinità dell'avventura. Tutto questo forse proprio perché l'altra faccia del racconto, quella sulla luna, la sentiamo profondamente legata al mondo reale così ben descritto nella prima parte, molto più vero del mondo in cui si muovono i personaggi stereotipati di Verne ne De la Terre à la Lune che, tuttavia, si rivelano indubbiamente più pragmatici. Su questa simpatia, siamo anche più disposti a credere possibile che la Carovite funzioni davvero, nonostante le proteste di Verne, e che i nostri protagonisti abbiano davvero incontrato i Seleniti.

Peccato che poi l'uomo sia arrivato davvero sulla luna e abbia svergognato le speculazioni di Wells. Ma, come anche lo stesso Wells avrebbe detto, il progresso scientifico non si può fermare, nemmeno in favore di una visione più poetica dell'universo.




venerdì 4 aprile 2014

Primi uomini intorno alla luna




Vignetta ripresa da Hark, a vagrant


Come Kate Beaton ha centrato nella sua vignetta (http://www.harkavagrant.com/index.php), molti illustri seguaci presero d'esempio Edgar Allan Poe e iniziarono a fantasticare, anche se con una certa serietà, intorno al mondo del possibile e del probabile, sostenuto da una base pseudo scientifica.

Fotografia di Jukes Verne di Félix Nadar,
1878 c., ripresa da Wikipedia
Uno dei più illustri fu Jules Verne. Affascinato da Edgar Allan Poe, tanto che nel 1864 gli dedicò un tributo  (Edgar Poe et ses oeuvres), viene ispirato dal suo modo nuovo di trattare soggetti che all'epoca erano relegati al campo della pura fantasia.
Anche lui scrisse un romazo Dalla terra alla luna (1865) prendendo ad esempio il viaggio di Hans Pfaall e l'attegiamento scientifico che caratterizza la sua impresa. Ho chiamato Dalla terra alla luna romanzo, vero? Beh, forse avrei dovuto chiamarlo "trattatello sulla costruzione di un proiettile - missile - navicella spaziale capace di arrivare sulla luna, o quasi, con dentro qualche uomo - diciamo tre".

La trama in sé è breve, quasi insignificante. Con un bell'umorismo tipicamente francese (ben diverso da quello inglese distinto ed elegante, ma sarcastico e ammiccante), Verne si immagina che tutti quei grandi conoscitori di armi e balistica che sono gli americani si ritrovino delusi dalla conclusione della rivoluzione americana e non sapendo più come impegnare tempo e conoscenze, decidano di tentare l'impossibile: creare il missile perfetto che arrivi sulla luna e lasci il segno.

Tutto il racconto non è altro che calcoli, teorie, invenzioni plausibili, incoronata dalla storia delle scoperte astronomiche, ma anche da quella delle creazioni fantastiche e letterarie su tale soggetto (con una speciale menzione d'onore per quell'Hans Pfaall di Poe).
Insomma, una lettura non proprio scorrevole, se ci mettiamo anche che Verne la infarcisce di numeri, misure e misurazioni (e sono tante davvero!) in piedi, leghe, pollici e chi più ne ha più ne metta. Così, una come me, pigra di natura, si ritrovata abbandonata al volo caotico di un' inesperta fantasia che tenta di considerare grandezze criptate, tra uno sbadiglio e l'altro.


Illustrazione dell'edizione del 1872.
Ma, a parte la mia ignoranza che complica un pochino la scorrevolezza del testo, la cosa che, nonostante tutto, colpisce è la plausibilità delle soluzioni. Detto come lo dice lui, con le premesse scientifiche e le speculazioni che apporta, tutto sembra quadrare e, a parte qualche piccolo, "insignificante" dettaglio, tutto sembra realmente fattibile. O quasi. Se andate a scovare cosa dicono quelli dell'unione degli astronomi italiani, loro fanno le pulci al racconto e naturalmente sanno il fatto loro, smascherano l'impossibile che Verne rende possibile, ma nonostante tutto l'ammirazione per il suo tentativo rimane.

Di fondo, si percepisce lo spirito che muoveva Verne: l'assoluta fede verso la scienza.
Non dimentichiamoci in che periodo Verne viveva. Ormai le conoscenze fisiche e matematiche erano arrivate ad un punto in cui si credeva di comprendere quasi tutto. Da questo assunto era facile arrivare a credere che con un po' di applicazione e sforzi sperimentali si sarebbe arrivati all'inarrivabile. Quando la scienza divenne protagonista anche nel campo letterario, essa trovò un buon terreno su cui sperimentare le ipotesi deterministiche che grandi fisici e matematici come Laplace avevano formulato (in soldoni: la teoria scientifica ha un carattere di prevedibilità poiché ogni stato od evento dell'universo è conseguenza di stati ed eventi precedenti e, a sua volta, causa di quelli successivi. Basta conoscere la successione precisa degli avvenimenti per determinare quale sarà il risultato, come anche quale è stato l'antefatto)*. Fino a quando, per caso, si vide che non sempre le previsioni, per quanto fondate matematicamente, si avverano. La meccanica quantistica dell'inizio del 900 prima e poi la teoria del caos rivalutano la materia e tutta la cieca fiducia nell'analisi scientifica viene scossa.

Ma questo succederà solo nel secolo successivo e Verne continuerà a costruire macchine futuristiche e far sognare viaggi meravigliosamente fantascientifici per decenni, divulgano informazioni scientifiche sotto forma di racconti fantastici e ispirando generazioni di sognatori, proprio come lui era stato ispirato dal nostro Poe.



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* La filosofia di Laplace è, naturalmente, un pochino più complessa; il filosofico lo spiega meglio di quanto potrei farlo io con la mia scarsa preparazione scientifica.