venerdì 28 febbraio 2014

Stacchetto gobbo



A proposito di parodie e ironie, vi ricordate Frankenstein Junior?
In inglese, Young Frankenstein.




Di sicuro è una riuscitissima parodia del noto romanzo. Uscito nel 1974, ha come regista Mel Brooks e come attore principale Gene Wilder. Devo dire la verità: a me, Gene Wilder, non ha mai fatto simpatia. Ma  lo splendido AIGOR - Marty Feldman???

Foto ripresa da hitchhikersgui
Eh, lui è tutta un'altra storia.
Pensate che il suo aspetto un po' grottesco era dovuto ad una malattia immunologica, il morbo di Basedow-Graves, ereditaria, che porta, tra le altre cose, quegli strani occhi sporgenti.

Niente trucchi, quindi. Quello sguardo è davvero il suo.
O, almeno, lo era, perché lo splendido AIGOR ci ha lasciati nel 1982, a 48 anni.





martedì 25 febbraio 2014

La livella di Edgard Allan Poe



Sì, è giunta finalmente l'ora di parlare di lui, The oval portrait, il racconto di cui vi accennavo qui.

Il ritratto ovale, da manuelgraph

La data di pubblicazione del racconto conosciuto come The Oval Portrait risale al 1845; in verità, già nel 1842 era stato pubblicato in una versione più lunga in cui pochi paragrafi introduttivi spiegavano meglio le circostanze del ferimento della voce narrante e l'uso dell'oppio al fine di sedarne il dolore. Questa prima versione portava un altro nome: Life in Death. Nella versione definitiva, Poe elimina gli elementi che potrebbero far pensare ad una sorta di distorsione della realtà indotta dagli oppiacei e introduce subito la storia senza tergiversare.  Niente di strano, visto che Poe è solito farlo: con una sua particolare lucidità,  riesce ad escludere il superfluo e ridurre la storia al minimo indispensabile senza tuttavia rinunciare a nessuno degli effetti voluti. Deve essere stato un perfetto impacchettatore di valigie da viaggio . :D

Ma, a parte gli scherzi, come potrei spiegare l'effetto che lasciano le sue storie confezionate in questo modo se non facendo l'esempio di un diamante perfettamente tagliato per far risaltare tutta la sua luminosità?

Poe è davvero un artista superbo in questo. E The oval portrait ne è un perfetto esempio.

Ma siccome stiamo parlando di inclinazioni del gotico, vorrei prima riassumere a che punto siamo arrivati per capire meglio quale sia il contributo di Poe in questa serie di post.

Sarò breve: la Austen ci dice con candore che fantasmi e complotti sono scempiaggini e non esistono; Dickens ci dice, invece, che ci sono, anche se poi ridacchia tra le righe. Ed Edgar Allan Poe, la mente estremamente razionale che produce delle perfette macchine-gioielli dagli ingranaggi cristallinamente matematici, cosa pensa lui della materia? Ci crede?

Mhhh.

Siccome mi appresto ad un altro dei miei spoilers barbari, vi do' un ultimo avvertimento: anche se vagamente ricordate la trama, andate a rileggerlo al volo prima di continuare il post. Sicuramente ci sono cose che vi sono sfuggite ed averle sotto lo sguardo renderà la comprensione ancora più esaltante.

Detto questo, basta leggere la prima frase de The oval Portrait per capire come la pensa E. A. Poe:

The chateau into which my valet had ventured to make forcible entrance, rather than permit me, in my desperately wounded condition, to pass a night in the open air, was one of those piles of commingled gloom and grandeur which have so long frowned among the Appennines, not less in fact than in the fancy of Mrs. Radcliffe.
Il castello di cui il mio valletto si era avventurato a forzare l'ingresso pur di non permettere che io, nelle gravi condizioni in cui la mia ferita mi poneva, passassi la notte all'aperto, era uno di quei numerosi edifici, mescolanza di oscurità e grandiosità, che da gran tempo si stagliano tra gli Appennini, non meno nella realtà che nell'immaginazione di Mrs. Radcliffe.

Montebabbio - Castellaro (RE), preso da flickr.
Qui si svela tutta la grandezza di Poe a mio avviso. Il diamante cristallino, tagliato fino all'estremo punto in cui ogni luce risalta, tutto quello che deve essere detto è detto senza nessun tipo di superfluo. E qui c'è anche riassunta la chiave di lettura del racconto, un racconto che resta in perfetto equilibrio tra due possibili interpretazioni e su cui l'autore non si sbilancia mai né in un senso né nell'altro.

In una sola frase, il lettore comprende che il narratore è gravemente ferito e che si imbatte in un castello che richiama alla mente quelli alla Radcliffe, con i suoi misteri e fantasmi. Il castello alla Radcliffe non può non destare attese di eventi sovrannaturali e con questo semplice accostamento l'atmosfera è confezionata. Ma non dimentichiamoci che il narratore è gravemente ferito, in preda alla febbre e forse plausibilmente soggetto ad allucinzioni.
Forse.

Ed allora, quando muovendo lo sguardo e la candela sulla stanza poco illuminata in cui passa la notte gli sembrerà di scorgere una figura muoversi nell'ovale del ritratto, il lettore attento, cosa penserà? Il ritratto si é mosso davvero? Il narratore ha un'allucinazione?

Immagine ripresa da Wikipedia
La storia particolare del ritratto farebbe propendere per una spiegazione sovrannaturale, ma quel lettore attento potrà facilmente obiettare che mai, nemmeno per un secondo, si fa riferimento a un qualche evento inspiegabile che abbia trasfuso la vita dalla modella alla sua immagine ritratta. Si parla di cattiva illuminazione e ambiente poco salutare in cui la modella è fatta sedere per ore e ore, di una malattia della ragazza di cui il pittore, preso dalla sua foga creativa, non si accorge; si parla di alta maestria dell'artista nel ritrarre la vita nelle sue opere, ma mai si dichiara positivamente che la vita sia passata dal soggetto al suo ritratto. Ed il lettore, a questo punto, si allambiccherà per ore il cervello nel tentativo di capire cosa lo scrittore volesse che lui credesse: cosa vuole da noi Poe? Qual'è la sua verità?

Chi lo sa? Per questa, come per altre delle sue opere, rimarremo col dubbio. Ma, diciamolo, è anche per questo che consideriamo Poe un genio, no?



sabato 22 febbraio 2014

La vocina di Dickens



Da sempre, il modo più efficace per demolire un'istituzione è riderci su. Che sia paura o autorità, l'ironia riesce laddove un esercito (di critici o di militari) fallisce.


Ripreso da Tuttavitarobi


Ma come si fa ad ironizzare in maniera efficace?

La Austen lo fa con metodo quasi pedante: demoliamo drasticamente e sistematicamente ogni caratteristica ricorrente nel romanzo gotico, dal prototipo dell'eroina alla messinscena, affianchiamoci la realtà concreta e il più è fatto. La risata arriva da sola.

Da qui.
Eppure non sempre è necessaria un'operazione così certosina per raggiungere un effetto che smorzi il pathos orrorifico. A volte basta semplicemente manipolare un po' la voce narrante. Magari quello che si ottiene non è proprio una parodia, ma di sicuro è una nuova inclinazione del genere.

Come si fa? Beh, prima di tutto bisogna dare a questa voce narrante un tono cordiale: deve far simpatia; le si concede molta libertà, fino a farla quasi diventare un vero narratore di cui però non si sa nulla se non che conosce bene la storia che narra; ed infine la si pone lì in mezzo tra realtà del romanzo e lettore, in qualità di filtro. Già la sola presenza di questa figura fantomatica, un po' più di una voce narrante, un po' meno di un personaggio, favorisce il distacco tra lettore e narrazione e ridimensiona tutta l'atmosfera di paura.

Un esempio? Ve la ricordate la mia (unica) lettura di Natale? A Christmas Carol (1843) di Charles Dickens.
Ecco, questo è stato l'esempio ispiratore di tutta una riflessione sulla potenza della voce narrante. Quasi quasi ci si potrebbe scrivere un papiro di post sulle inclinazioni della voce narrante per quanto l'argomento è importante e interessante. Beh, almeno per la sottoscritta.

"L'ultimo dei tre spiriti",
ill. John Leech, prima edizione del 1943.
Ripreso da Wikipedia.
Ma torniamo al punto. A Christmas Carol.
A differenza di Northanger Abbey della Austen, qui ci sono davvero i fantasmi.
Alcune scene, quelle più tetre, quelle in cui il narratore sta buono e soffoca la sua solita bonaria ironia, mettono davvero i brividi addosso. Eppure il tono complessivo è completamete diverso dal tono solito del romanzo gotico. Ok, ve lo concedo: in parte è anche dovuto alle scene natalizie, quelle piene di lucine e canti corali che scandiscono la cupa esperienza del signor Scrooge, ma spesso è anche colpa - o merito - della voce narrante che di tanto in tanto ammicca, sorride, tergiversa e ridacchia sotto i baffi.
Così, quello che ne esce fuori non è tanto un racconto di fantasmi, ma una sorta di racconto di Natale con la morale nel finale, il capolavoro che tutti conosciamo più o meno a menadito. Non a caso viene classificato "racconto fantastico" su Wikipedia .

Possiamo dire, allora, che il romanzo fantastico non sia altro che un'inclinazione del romanzo gotico? O forse il contrario?
Mmmmh, a dire il vero bisognerebbe studiarci un po' su. Per ora mi perdonerai, lettore, se non mi soffermo su questa possibilità, ma vado dritta filata per la mia strada. Ma prima o poi conto di tornarci.

Prima o poi.



mercoledì 19 febbraio 2014

Parodiamo: Northanger Abbey



Una delle inclinazioni più note e forse anche più drastiche che il romanzo gotico abbia mai subito è quella che la giovane Miss Jane Austen fa compiere a tutta quella vasta produzione saltata fuori sulla scia della nostra ormai famosa signora Radcliffe.

Jane Austen, ritratta da 
Cassandra Austen, 1810 c.


Adesso voi mi direte: come si fa ad associare la ragionevole, ironica e realista Jane Austen al romanzo gotico? Sembra quasi una blasfemia. No, è Northanger Abbey, pubblicato postumo, ma per assurdo il primo tra i suoi lavori ad essere stato completato (1798-99) e pronto per la pubblicazione (1803).

  
"Aveva l'aria e l'atteggiamento 
di un Montoni."
Illustrazione ad acquerello di
Charles Edmund (“C.E.”) Brock,
preso da solitary-elegance
Non so se ve la cavate con la memoria, ma tanto per rinfrescarcela un po', Udolpho della Radcliffe è del 1794. Inutile dire che Northanger Abbey è evidentemente un derivato del romanzo alla Radcliffe, anche se di esso, alla fine, poco rimane. Non aspettiamoci la solita eroina dalla sensibilità e dall'educazione non comuni, che viene subito ammirata al primo sguardo, amata ancor prima che apra bocca, tormentata, maltrattata, rinchiusa ed infine salvata. Ecco, tutto questo viene subito messo in chiaro dalla scrittrice: la nostra eroina Catherine Morland  NON è la classica bellezza che uno si aspetta di trovare in quel genere di romanzi. Adora giocare all'aria aperta con i suoi 10 fratelli (niente possibilità per lei, quindi, di rimanere sola al mondo a lottare contro le ingiustizie di usurpatori vari), non suona strumenti, non legge se non i romanzi alla Radcliffe. Non attira sguardi di ammirazione e, ad essere proprio onesti, non è nemmeno così perspicace. Non è stata presa di mira da nessun villain, né tanto meno è stata allontanata dal suo amoroso dal losco individuo, anzi: succede proprio il contrario. Il luogo lugubre in cui è condotta si dimostra meno lugubre del ragionevole; insomma, in fin dei conti, di pauroso e inquietante rimane poco. Ma diciamolo pure in tutta onestà: nulla. E noi che ci aspettavamo chissà quali orrori.


Alla fine, un po' per gioco, un po' per scherzo, la Austen si diverte a smontare il mito dell'eroina gotica. Ma, a ben guardare, non fa solo questo. Perché a leggere bene, Catherine Morland non è solo parodia dell'eroina gotica, ma anche della lettrice del genere, o almeno di quella parte del suo pubblico che non solo accetta il patto tacito tra lettore e autore (ne abbiamo parlato qui), ma che quasi quasi crede possibile che le regole del mondo della finzione possano applicarsi, in singolari circostanze, anche al mondo reale.
Così, la ragazza, suggestionata da letture incontrollate, cade vittima di false conclusioni tratte per lo più dall'esperienza delle eroine dei romanzi letti. Inutile dire che la povera Catherine vede cattivi dove non ci sono, delitti mai accaduti e misteri su misteri che cadono alla velocità del batter di ciglio. Beh, non poteva essere diversamente, se si pensa chi sia l'autrice del romanzo.


Northanger Abbey non è il capolavoro di Jane Austen. Sebbene io lo legga sempre con piacere (tanto per farvelo sapere, io adoro la Austen), mi rendo conto che a volte è un po' lento e quello che poteva essere detto in un episodio, viene invece raccontato in due.

C'è un film della BBC del 2007 che taglia un pochino il superfluo, ma vi avverto: se preferite la visione del film alla lettura vi perderete inevitabilmente gran parte dell'ironia del romanzo. Il film vale la pena di essere visto, se non altro per il modo in cui viene rappresentata la vorace dipendenza della giovane Catherine al gotico, ma tutto quello che mette in contrasto la nostra anti-eroina alla tipica eroina del gotico si perde.

Ma del resto, nessun film è perfetto, no?





domenica 16 febbraio 2014

Inclinazioni del gotico






Adesso che ho esaurito le definizioni, adesso che il mio cervello ha smesso di tormentarsi sui tratti del genere, adesso che i criceti nella mia testa hanno finito di rincorrersi la coda sulla loro ruota dell'orrore, ora posso prendere questo affascinante oggetto che è il romanzo gotico e giocarci un po': capovolgerlo, scuoterlo auscultarlo e vedere cosa ne esce fuori. Lo incliniamo a vari gradi e vediamo un po' cosa succede?

Naturalmente non mi permetto, io, di compiere simili esperimenti anche un po' brutali, ma mi concedo invece la lettura di qualche esempio illustre che ha avuto la fantasia di farlo.

Inclinazioni: la torre di Pisa
La prima a provarci, naturalmente, è stata lei, Anne Radcliffe, ma non abbiate paura, non ricomincio con un altro dei suoi volumi: la lettura di Udolpho ci è bastata.
Andando al sodo, ciò che risulta da questa lieve inclinazione della Radcliffe, ormai lo abbiamo capito bene, è un romanzo molto simile negli intenti a quello dei fantasmi: i fantasmi sembra che ci siano, gli eventi sono quelli dell'orrore, le atmosfere quelle giuste, tutto conduce nella direzione del gotico. Fino a quando - colpo di scena! La Radcliffe ritratta, smentisce e distrugge. Di sovrannaturale non c'è mai stato nulla se non la mole incredibile di eventi poco probabili che capitano a questa povera ragazza.
Strano ma vero, si dimostra questa la formula vincente tanto che presto è lui, Udolpho, a venir percepito come IL romanzo gotico.

La Radcliffe, tutto sommato, si mantiene nei limiti del genere. Il mostro, le atmosfere, il patto col lettore (fino alla fine lascia credere che stiamo in un mondo parallelo in cui esiste davvero il sovrannaturale) sono i punti di forza della sua creazione. Ma ci sono altri scrittori che stravolgono completamente questi presupposti, usandoli solo come punto di partenza o come canovaccio e mettendoci dentro altri elementi che portano il romanzo a trasformarsi in qualcosa d'altro.
A volte, a forza di inclinarlo, esso si è talmente svuotato di ogni sua connotazione da diventare parodia di se stesso. Altre volte la manipolazione non è così drastica, ma allo scopo principale, quello di suscitare il terrore, se ne aggiungono altri che modificano significativamente anche la sostanza.
Infine, c'è l'ultima delle inclinazioni che mi è capitata di incontrare. Questa, però, più che inclinazione sembrerebbe una "livellazione".
Ma, come al solito, non anticipo niente e vi lascio così, ad arrovellarvi su cosa mai vi potrò propinare nei prossimi post.
Buon arrovellamento, allora. :D



giovedì 13 febbraio 2014

Stacchetto ingredientistico



Non ridete, non ridete ora. Mi sono scervellata un paio di notti per trovare uno stacchetto che avesse un  qualche pur sottile e velato collegamento con i post sulle definizioni gotiche e cosa mi sono ritrovata tra le mani, o meglio, tra i denti?

Un banale "ingrediente segreto".

Banale come questo:



Oppure un po' più... o forse un po' meno...
Beh, definitelo voi. Io ne ho abbastanza di definizioni per il momento. ; )





lunedì 10 febbraio 2014

L'ingrediente segreto: il patto tacito



Fino a qui la questione è semplice: atmosfera + mostro (vero o presunto) = romanzo gotico.

Beh, almeno dovrebbe essere semplice, perché alla fin dei conti, se uno ci pensa, bastano questi due ingredienti da soli a far lievitare l'impasto?

Non manca forse qualcosa, quell'ingrediente segreto, quello che sembra non c'entri nulla col tutto, ma che poi si dimostra il collante di tutta la costruzione altrimenti zoppicante?

Ebbene sì. Manca qualcosina. Un qualcosina che, tuttavia, non possiamo rintracciare tra i capitoli del romanzo, ma che rimane presente ad un altro livello. Un qualcosa che all'inizio non c'era, o era mascherato da altro, e poi ha iniziato ad essere parte sostanziale del romanzo e si è dimostrato sempre più importante al fine di poter digerire romanzi come Twighlight della Meyer e oggettini simili. E questa cosa è il patto tacito che il lettore e lo scrittore sottoscrivono al momento di leggere / scrivere un romanzo gotico. Cosa c'è scritto in questo patto-contratto? Beh, semplice. L'accettazione di tutti i fantasmi e mostri e situazioni improbabili che il romanzo contiene, come se tutto potesse essere vero.

In verità, non so esattamente se posso definirlo "ingrediente". In effetti non è qualcosa che va dentro, ma qualcosa che resta fuori, ad un altro livello, come dicevo. Ma non per questo è meno importante.

Come ho già scritto qualche tempo fa, all'inizio c'era Walpole, che rimpiangeva il medioevo e la sua fantastica credulità nei confronti del sovrannaturale. O forse, ad essere più precisi, all'inizio c'era il medioevo e il suo mondo fantastico in cui magia e realtà erano due facce della stessa moneta. In quei tempi nessuno dubitava, tutto era possibile. Ma poi la rivoluzione razionale è arrivata e allora la realtà ha bandito il sovrannaturale dalla sfera quotidiana e a fatica qualcuno (Walpole e affini) tenta di reintrodurla. Ma ormai il giocattolo si è guastato, nessuno crede più a fantasmi, vampiri e simili. O forse qualcuno potrebbe ancora crederci, se però si trasferissero su un piano o universo parallelo: quello del romanzo. In questo nuovo mondo parallelo, il mostro - e il suo scrittore - potrebbero dettare legge indisturbati, inventare regole, rendere il sovrannaturale non solo possibile, ma anche probabile. È il mondo del fantastico, non ha debiti con la realtà se non in minima misura. L'unica cosa che il lettore deve fare è far finta che il mondo parallelo sia reale, almeno per quel lasso di tempo che richiede la lettura e la speculazione, certo, sulla lettura. Accetti, o tu, caro lettore? Davvero? Allora avrai tra le tue mani ore e ore, se non anni e secoli, di buon divertimento, di genuini brividi e di visioni raccapriccianti, capaci di stimolare tutto il sublime che vuoi.

Elementare, quasi banale, ma indispensabile.

Gatto lettore, ripreso da The Regency Redneck
Voi mi direte: "Ma questo patto, anche se con clausule diverse,  non riguarda solo il romanzo gotico, ma tutta la produzione letteraria." Certo, un po' tutta la letteratura impegna il lettore a sottoscrive un simile accordo, ma nel romanzo gotico esso è di vitale importanza. Mentre un Verga, ad esempio, un Voltaire o chi per loro possono permettersi di dirci: "è opera di fantasia, ma potrebbe essere successo davvero, anzi, è probabile che sia successo", una Anne Rice (Interview with the Vampire e tutta  la serie dei vampiri - 1973 in poi) difficilmente potrà fare altrettanto. Il lettore deve solo subirsi buono buono la nuova realtà che assomiglia a quella del mondo reale, ma che in alcuni tratti ne ribalta completamente la logica. E questo vale per un po' tutta la produzione del fantastico, certo. Ossia tutta la produzione letteraria che deriva in gran parte (ma non solo, lo so) dal primo romanzo gotico.

Se il lettore non è disposto a sottoscrivere il patto, beh, non è difficile immaginare cosa succede: chiude il libro alle prime pagine e lo butta da qualche parte, lo ricicla come regalo di Natale per qualche malcapitato, lo incastra sotto la gamba claudicante del tavolino della zia o lo "dimentica" sulla libreria della nonna, che sicuramente non si accorgerà della sbadatagine e lascerà il tomo (di solito bello voluminoso) a prendere polvere per qualche decennio.

Ma se è lo scrittore che non lo sottoscrive?

Anonima immagine presa dal blod di Cristian Mihai
Beh, direte voi, semplicemente non scrive di certo un romanzo gotico.
Oppure, dico io, escono fuori romanzi alla Radcliffe, in cui il patto, e la realtà parallela del patto, sono sempre additati come possibili e persino probabili, ma poi, con un complicato gioco di disvelamenti, vengono ridicolizzati e con bonario ammiccamento distrutti. Ed è anche dall'intelligenza dell'autore e dal suo modo di smantellate la realtà che all'inizio sembrava possibile che il lettore riceve soddisfazione, oltre che dalla presenza dell'atmosfera e del mostro (presunto).

Un altro esempio di scrittore che non sottoscrive quasi mai il patto pur continuando a scrivere racconti che sembrano gotici è Edgar Allan Poe. Ho in mente un esempio sublime: Il ritratto ovale. Siccome è un raccontino breve ed estremamente piacevole, prima di parlarne aspetto un po'. Magari a qualcuno viene voglia di leggerlo e quindi lascio un po' di tempo per farlo con calma.

Nel mentre, visto che ho finito con le definizioni, mi leggo qualcosa dal tono leggermente diverso. Non vi preoccupate, saprete presto cosa, appena dopo lo stacchetto. ;)



giovedì 6 febbraio 2014

Romanzo gotico: caratteristiche



Ecco come la vedo io: una definizione che possa comprendere per intero tutta la produzione gotica non c'è. Ci sono tuttavia un paio di caratteristiche che compaiono puntualmente, questo sì.

La prima, quella più banale se vogliamo, è l'atmosfera.

Gargoyle, Cattedrale di San Vitus, Praga
Nei romanzi gotici l'atmosfera vuol dire tanto. Consiste principalmente in tutte quelle immagini e trucchetti capaci di destare un senso d'attesa che spesso si traduce in attesa dell'orrorifico. Ce lo aspettiamo fin dall'inizio che qualche fantasma ci salti addosso prima o poi. Così si spiegano profezie (astrusi indovinelli in linguaggio arcano che devono per forza essere nefasti e che anticipano catastrofi), delitti in tempi non sospetti (vuoi vedere che la vittima si vendica in qualche modo?) ed altri simpatici espedienti  che anticipano la visione. Poi dobbiamo metterci anche le tinte lugubri che amplificano la sensazione di terrore. E cosa c'è di meglio di un castello gotico con tutti quei gargoyles o quelle belle forme spezzate e contorte, le volte alte e difficilmente illuminabili, i conventi austeri, silenziosi, tenebrosi e i personaggi desolati che vi circolano trascinando le tonache sulla pietra scura?
L'atmosfera che crea il senso d'attesa dell'orrorifico è protagonista nel romanzo gotico, molto più che lo spettro stesso.

Ma diciamoci la verità, sebbene questi topoi del castello semi abbandonato e cupo rimangono cari per molto tempo al genere, alla fine anche questo viene accantonato per dar spazio a luoghi meno desueti. Ma questo avviene di pari passo con la trasformazione dell'altro elemento principe nel romanzo gotico: il mostro.

Nosferatus
Eggià, l'altro ingrediente indispensabile è il mostro. In ogni romanzo gotico che si rispetti appare il mostro o l'ombra del mostro a minacciare la sanità mentale di qualche cattivo o qualche eroina.
All'inizio, come già raccontato nel post precendete, il mostro era un fantasma, uno spirito, un qualche elemento trascendentale che appariva in scena per alcuni momenti e poi tornava al suo posto, senza mischiarsi con la quotidianità dell'eroe se non per rivelargli qualche frammenti di segreti o perseguitare il cattivo che non poteva di certo mancare.

Ma ben presto, il mostro sente il bisogno di avvicinarsi, di diventare parte del quotidiano, di assumere un ruolo più fisico, se vogliamo, nella storia. È a questo punto che appare il Vampiro di Polidori. Non parliamo più di fantasmi, ma di mostri che in qualche modo incarnano non solo quel senso di soprannaturale che incute terrore, ma anche la figura del villain, il cattivo-cattivo. Il mostro si avvicina alla società umana e inevitabilmente diventa la minaccia totale, inglobando il cattivo. Così ci ritroviamo i mostri a braccetto delle dame, che cercano di farsi largo tra le parrucche e le sottane, ma che non perdono il loro fascino lugubre e terrorifico.

Ma non finisce qui! Perché ad un certo punto nemmeno questo brivido di orrore basta più al pubblico.

Dorian Gray, locandina del film del 2009.
Ormai ci si è fatta l'abitudine al caro vecchio mostro che sgomita seduto intorno alla stessa tavola. Ma cosa succede se il mostro non sgomita più alla nostra destra ma si nasconde da qualche parte in noi, nella nostra carne e cerca di uscire quando meno ce lo aspettiamo?
Sì, siamo arrivati al mostro che vive dentro di noi, nato o nutrito dagli studi sulla psicologia umana che fioriscono verso la metà dell'Ottocento e che ci portano capolavori come Lo strano caso del Dr Jekill e Mr Hide, ma anche Il ritratto di Dorian Gray, etc, etc.

Di strada ne è stata fatta dal semplice spiritello che faceva da comparsa di tanto in tanto, ma il suo archetipo, il mostro, è sempre qui. E anche quando questi non compare davvero, ma si lascia intuire, anche allora è lui il vero protagonista, la rotella che fa andare avanti il complesso gioco narrativo.

Ecco come la vedo io, quindi. Atmosfera e mostro, tutto qui.
A questo semplice schema molti ci hanno messo le mani e molte varianti sono nate, talmente tante che spesso davanti ad opere anche di un certo valore io rimango dubbiosa se la definizione di genere gotico si possa applicare o meno.

Ma magari, di questo parleremo un'altra volta.
Per oggi mi fermo qui.


lunedì 3 febbraio 2014

Il posto dei fantasmi



Quando pensiamo ai racconti gotici, di solito ci viene in mente la tipica storia dell'orrore, quella popolata di fantasmi che tormentano i protagonisti indifesi. Una storia di case e castelli infestati in cui la trama gira e rigira sempre intorno allo spirito, al soprannaturale, etc, etc.

Castello infestato, via bureparkprimary

Ai tempi di Horace Walpole, tuttavia, i fantasmi non avevano lo stesso posto nell'immaginario collettivo che hanno al giorno d'oggi; se vogliamo avevano meno diritti e meno spazi, semplicemente perché c'era stato l'illuminismo che aveva bandito ogni forma di irrazionalità. Per questo, come ogni fenomeno che tendeva a sfidare la ragione, venivano semplicemente liquidati come puerili superstizioni.


Quando Walpole rispolvera il soprannaturale medievale e scrive la sua storia, sente naturalmente il
peso di questa condanna. Ed infatti, la trama non ruota intorno al fantasma, ma intorno alla vicenda complessa di personaggi cavallereschi a cui, di tanto in tanto, capita qualche evento sovrannaturale: un elmo gigante che cade dal cielo proprio sull'erede malaticcio, un dipinto che si anima, una spada talmente grande da dover essere trasportata da 100 uomini, etc. etc. Ma la storia, come dicevo, ha una sua logica complessa al di là dell'evento inspiegabile. Il soprannaturale è un accessorio ai fini del disvelamento di segreti altrimenti difficilmente svergognabili o un modo per scuotere la coscienza, un puro e semplice espediente narrativo.

Il fatto che questi elementi sovrannaturali fossero un po' difficili da digerire, ce lo dicono soprattutto i commenti che seguirono al romanzo. Alcuni, appena apparsa la seconda edizione in cui si spiegava la reale origine del racconto, si schierarono subito contro un simile tentativo. Altri lo apprezzarono con riserva. Tra questi ci sono Clara Reeve e Walter Scott.

Illustrazione da The castle of Otranto
Nel 1777, viene pubblicato il romanzo The old English Baron (Il vecchio barone inglese),  dichiaratamente opera gotica, ad opera di una certa Clara Reeve. Al giorno d'oggi non solo il suo romanzo, ma anche il suo nome sono sconosciuti. All'epoca, invece, la signora Clara Reeve aveva una certa reputazione. Basti pensare che fu lei la prima a proporre una storia del romanzo che partisse dal romance medievale e arrivasse fino al romanzo moderno. Insomma, una che ne capiva. E le era talmente piaciuta l'invenzione di Walpole che tenta di riprenderla e aggiustarne i piccoli difetti. Nasce così Il vecchio Barone Inglese.  

Illustrazione de The old english baron,
via acourseofsteadyreading
Nella sua introduzione, la Reeve loda i tratti del romanzo di Horace Walpole: l'inizio richiama l'attenzione, lo sviluppo è ben organizzato, i personaggi sono caratterizzati nella giusta misura, la scrittura è elegante e pulita...
MA...
C'è un MA grande come una casa che riguarda proprio la manifestazione del sovrannaturale. La signora Reeve spiega che vanno bene spiriti, vanno bene elementi fantastici, ma bisogna mantenerli nei limiti di una certa credibilità. Perché una spada talmente grande da dover essere trasportata da cento uomini fa un po' difficoltà, soprattutto se accompagnata da numerosi eventi simili che, invece di sostenere il pathos e l'attenzione, precipitano il climax complessivo fino a provocare una bella e robusta risata. Sì, immaginarsi un elmo talmente grande che cade in testa al primogenito che sta per sposare la donzella indifesa, fa un po' ridere in effetti. Ma, se devo essere sincera, anche l'espressione dei sentimenti dei personaggi della Reeve non è che lascia proprio imperturbabili, almeno al giorno d'oggi. Sempre a guardare il Cielo con le mani levate per ringraziare il Signore, si inginocchiano piangendo ai piedi dei nobili signori, servizievoli e devoti fino al ridicolo... ma questo é, espressione di un mondo cavalleresco visto attraverso un tre-quattro secoli di distanza.

Nel 1811, Il castello d'Otranto ebbe una nuova riedizione, una delle tante; ma questa è particolarmente interessante per l'introduzione di Walter Scott. In essa, W. Scott ribadisce ancora, come la Reeve, i punti di forza del romanzo, ma allo stesso tempo puntualizza meglio quali ne siano le mancanze: il sovrannaturale è troppo frequente, preme troppo monotonamente sulle sensazioni che vuole destare con il risultato di "diminuire l'elasticità della molla su cui dovrebbe operare". Perché al giorno d'oggi la mente è abituata alla ragione e sottolineare troppo il fantastico non fa altro che risvegliare questa razionalità e il senso comune, i più grandi nemici dell'effetto che si vuole produrre.
Mettiamoci anche che nel Castello d'Otranto tutto accade alla luce del giorno, mancano le ombre che spengono un pochino la razionalità, manca insomma il senso del terrore che favorisce la superstizione e siamo a cavallo. Troppi fantasmi. Troppo sovrannaturale gratuito.

Ma non è finita qui! Non bastano la Reeve e Walter Scott a ridimensionare le nostre apparizioni spettrali. Arriva anche la Radcliffe. Sì, la signora dei Misteri di Udolpho (1794). Lei, addirittura, si porta avanti e, sebbene non critichi apertamente l'operazione di Walpole, propone una nuova soluzione che concilia gli effetti che Il castello d'Otranto voleva suscitare con la razionalità da cui si fa fatica a staccarsi. Nasce così il romanzo che sembra parli di fantasmi e soprannaturale, ma che in verità non ha nulla di inspiegabile e di realmente spiritistico se non le atmosfere che ispirano quel terrore sublime che tanto divertiva nel romanzo gotico.

I fantasmi, come si vede, non hanno vita semplice all'inizio della loro carriera. Ci misero un po' per accaparrarsi completamente la scena. E nel mentre arrivarono a reclamare un loro posto anche altri strani tipi. Ma di questo parleremo nel prossimo post.