martedì 31 dicembre 2013

Intermezzo di nuovo anno




Questi sono i fuochi più belli che io ricordi di aver mai visto dal vivo. Troppa gente, troppo rumore, anche un po' troppo fumo se vogliamo, ma che atmosfera strepitosa!




Non era esattamente il 2013, ma l'incanto prodotto era lo stesso.
Un altro piccolo motivo per andare a visitare Londra.

Ma anche se siete rimasti a casa a festeggiare tra quattro gatti con le stelline filanti (come abbiamo fatto noi), il mio augurio vi rincorre e vi becca comunque, ne sono sicura! E allora vi auguro un buon anno nuovo, scoppiettante come questi fuochi londinesi.




sabato 28 dicembre 2013

Letture natalizie






Capita, a volte, di essere trascinati nella lettura di qualche storia particolare solo per il fatto di sentirsi ispirati da una certa atmosfera. E l'atmosfera natalizia fa miracoli, ti fa fare tante di quelle cose insolite che durante l'anno sarebbe impensabile anche solo immaginare.
Sorridere a tutti gli estranei che incontri per le scale con un bel Buon Natale sussurrato sotto i baffi, aiutare signore con pacchi e pacchetti ad arrivare alla porta di casa, coccolare amorevolmente anche il più antipatico dei bambini dei vicini... cose così. E qualche volte ti fa venire pure voglia di leggere un racconto di Natale che fino a qualche settimana prima non ti sarebbe mai saltato in testa di prendere in mano. Un po' perché, diciamolo, leggere qualcosa di natalizio in un periodo non proprio natalizio non suona giusto. E poi perché quel qualcosa di natalizio é stato talmente usato e abusato che ti annoia solo l'idea di perderci tempo.

  
Charles Dickens, A Christmas Carol.
Prima pagina, Prima edizione del 1843
Sto parlando di A Christmas Carol, di Charles Dickens, naturalmente, il racconto di Natale più conosciuto al mondo dopo la storia della nascita i Gesù.


Siccome volevo aver qualcosa di cui parlare che c'entrasse col Natale, l'ho preso tra le mani, quasi senza aspettative, e ho iniziato a scorrerlo con sospetto. Proprio così, con sospetto, perché già dai primi paragrafi mi è venuto il dubbio che Dickens non giocasse proprio onestamente. Una voce narrante molto vivida, quasi fosse lei stessa un personaggio, si ritrova a raccontare con una vena quasi comica (tipica ironia dal tono inglese, oserei dire) una storia un po' natalizia e un po' qualcos'altro e ti rassicura fin da subito che parlerà di fantasmi, iniziando col dire: "Guarda che Mr Marley era morto, morto davvero, non ci sono dubbi!". Non è certo questo il modo di introdurre una storia di Natale, no? E tanto meno una di fantasmi.

Eppure, il carol di Dickens questo é: fantasmi con alcune scene davvero inquietanti (il primo apparire del socio morto mi ha fatto sobbalzare, lo ammetto, come anche il vagare di Scrooge per le scale desolate della sua dimora) e altre quasi esilaranti; d'altro lato, scene di Natale calde e vivaci, dai sentimenti positivi e di gioia.
Ed in mezzo, a far da tramite a queste due realtà così bizzarramente accostate, la nostra buona e vecchia voce narrante, pronta a filtrare e dosare la giusta quantità di terrore, poesia e allegria, ma sempre con una certa discrezione. E allora uno esita persino a definirla storia di fantasmi, questa storia.

Il racconto in sé è molto piacevole, molto... natalizio. :D
Per goderne tutta la bellezza in famiglia, siamo andati anche a scovare la versione cinematografica del 2009, opera di animazione splendidamente fedele all'originale. Io vi consiglierei di guardarla perché il regista è riuscito a rendere visivamente tutti gli effetti speciali che Dickens voleva produrre.
Senza contare che nella versione originale Jim Carrey impersona Scrooge e Colin Firth il nipote. Un bell'incentivo, a mio parere.





mercoledì 25 dicembre 2013

Intermezzo natalizio



E così, tra un post e l'altro, eccoci arrivati già a Natale!






















Non parlerò di libri, oggi. Userò questo spazietto natalizio per ringraziare te, lettore (probabilmente più  unico che raro) che passi di qui a leggere le mie facezie. Ti auguro un buon Natale, allegro e frizzante, pieno di lucine colorate e, perché no? - di buone letture e di film ispiratori.

Ma tra tanto rumore, ecco, ti lascio anche questo: O Magnum Mysterium di Tomás Luis de Victoria (1572). Tanto per ripulirsi di tutta la frenetica confusione che la preparazione al Natale sembra portare sempre con sé.




Ti metto questa versione con lo spartito, caso mai ti venisse voglia di canticchiarla come è venuta a me.
Forse poco elegante, è vero, ma in pieno spirito natalizio: per una volta non lo subiamo, il "rumore", ma lo facciamo. :D

E ancora una volta, Buon Natale. 



lunedì 23 dicembre 2013

Stacchetto culinario



Tempo di Natale, tempo di abbuffate. Sulla scia di questa tradizione mangereccia, ricette natalizie spuntano ovunque: blog di cucina, blog letterari, forum di mamme e di nonne, riviste e quotidiani, ovunque!
Potevo farmi sfuggire una simile occasione per infilarci qualcosa in tema?

Certo che no! Ma siccome sono un po' monotematica, e mi scoccia anche un po' macchiare il mio diario di lettura con qualcosa che non c'entra proprio nulla con i miei progressi, vi posto una ricetta sui generis.


Pain d'épices



Pain d'épices

Dai tempi più antichi, il miglior pain d'épices si produce a Reims. Alla fine del XV secolo, sotto Luigi XII il pain d'épices di Reims godeva di una grande reputazione e quello che si produceva a Parigi non era che di secondo rango.
[...]
Il pain d'épices si fa con del fior di farina di segale, della schiuma di zucchero o del miele giallo e di spezie; si fa cuocere il tutto dividendolo in pani dalla forma desiderata. Il pain d'épices stimola l'appetito, mette in moto e sostiene le forze digestive; ma non si deve mangiare che con moderazione.
[...]
I nostri avi lo apprezzavano grandemente e ne facevano dono. Nei pasti di corte figurava al primo rango. Agnès Sorel, la bella maîtresse di Charles VII, chiamata Dame de Beauté a causa del castello di Beauté che possedeva sulle rive della Marna e che le era stato donato dal suo amante regale, non si stancava mai di questa leccornia e diversi autori del secolo scorso hanno persino sostenuto che sia stata avvelenata con del pain d'épices dal delfino, il futuro Luigi XI, che non l'amava affatto proprio perché suo padre l'amava troppo; ma questa è una congettura che non si basa su altro che il carattere crudele e vendicativo di questo principe. Anche Marguerite de Valois, sorella di Francesco I, se ne deliziava. Ma sotto Enrico II, ci si disgustò tutto d'un tratto d'esso a causa delle voci che asserivano che gli italiani ci mettessero dentro del veleno. Non tornò in favore se non alla fine del regno di Luigi XIV, come abbiamo già detto più in alto.
[...]
La farina di segale rende questo pane un po' pesante; tuttavia, quando esso è ben confezionato e ben cotto, gli aromi che vi si impiegano lo rendono più digeribile. Il buon pain d'épices, fatto con del buon miele scelto, può aromatizzare, è lassativo, calma la sete e favorizza l'espettorazione. Affinché si conservi senza guastarsi con l'umidità e alterarsi nell'invecchiamento, bisogna cucinarlo convenientemente ed esporlo di tanto in tanto al calore del fuoco o del sole.

Eggià, non è proprio la ricetta che uno poteva aspettarsi, ma nonostante ciò, spero sia stata gradita. Tanto di più quando vi svelerò che l'ho rubata a Le grand dictionnaire de cuisine del 1873 a firma di Alexandre Dumas (padre). Ebbene sì, questa era l'opera che lui considerava corona di tutta la sua vasta produzione, compilata durante gli anni della malattia e pianificata amorevolmente affinché diventasse non solo un ricettario, ma soprattutto una storia della buona tavola e di chi vi si accostava con piacere.

Questa ricetta, come anche tutto il dizionario, lo potete trovare in lingua originale su dumaspere, un sito davvero prezioso per chi è affascinato dal mondo di Dumas.

Se invece siete più pignoli e volete cimentarvi con la ricetta vera e propria, io farei affidamento a gaufres e garganelli.

Buona abbuffata.

venerdì 20 dicembre 2013

Udolpho tra suorine e follia



Ann Radcliffe, I misteri di Udolpho, 1794.
Opera in quattro volumi.


Piero della Francesca, Santa Monaca, 1455-1460.

Quarto Volume

So far:


Emily ormai è scappata da Udolpho e dalle grinfie di tutti i cattivi italiani. Sfuggita ad un naufragio, approdata proprio dove doveva approdare e pronta ad entrare in un convento, non per farsi suora, ma per restarci fino a quando la sua proprietà, che era poi quella di suo padre, non sarà tornata libera dal suo affittuario, trova nuovi amici non solo nei proprietari del lugubre castello a due passi, ma anche nelle suorine sempre pronte ad accogliere una povera orfanella in difficoltà, soprattutto se il padre era morto e seppellito proprio là e la somiglianza dell'orfanella alla defunta marchesa del castello, quello lugubre e riabitato da poco, stupisce ed incuriosisce non poco.

Tra le suorine, tutte graziose e pettegole, c'è una suor Agnes. Ecco, lei non è proprio graziosa. Piuttosto possiamo dire che è un po' pazza, quello sì . Non che sia un pericolo, ma comunque inquieta e mette tanta curiosità. Nessuno conosce bene la sua storia, ma forse una sua consorella, suor Francis, ne sa qualcosa di più delle altre e, per semplice cordialità, propone di far partecipe anche Emily dei segreti della povera sorella pazza.

George Dunlop Leslie, In a covent garden.
Naturalmente segreti così lugubri possono essere svelati solo di notte, per non turbare altre orecchie nel convento. E così, tanto per cambiare, Emily si ritrova a vagare al buio e ad ascoltare storie raccapriccianti di follia e amore.

La storia la intuiamo e una volta svelata ci diciamo: "Lo sapevo!". In effetti ricorda parecchio la storia di quella Marchesa che abitava, una ventina d'anni prima, nel castello che ora è infestato da presunti fantasmi: lei amava un degno giovane inferiore di rango ma elevato di spirito; viene costretta a sposare un altro, il marchese; soffre molto perché non ama e viene trattata pure maluccio, nonostante lei sopporti e alla fine muore misteriosamente, probabilmente uccisa. Anzi, no, perché suor Agnes non è morta, ma rinchiusa in convento e diventata pazza. O forse prima diventa pazza... devo ammetterlo, non ricordo già più.

In ogni caso, viene spontaneo dirselo: ecco qua, la marchesa non è morta come tutti pensano, ma è diventata una povera pazza arcigna che farnetica di colpe e di redenzioni impossibili.

E invece no. Nel momento di rivelarci nero su bianco come sta la storia, la Radcliffe ritratta. Suor Francis si era sbagliata, aveva riportato una storia falsa. La Marchesa è morta davvero per mano del marito e questa Agnes ha un'altra storia che comunque si intreccia a due o tre giri non solo con la storia della marchesa, ma anche con quella di Emily e persino col castello di Udolpho. Un paio di salti mortali, di sfide alla legge delle probabilità e voilà, il quadrato diventa un cerchio.

A questo punto uno si chiede: ma lo ha fatto a posta ad infilarci una suor Francis con le informazioni sbagliate, era un tranello per indurci nell'errore e aumentare il pathos della scoperta, o ha cambiato idea in corso d'opera e reindirizzato tutta la storia verso la fine, risparmiandoci altri tortuosi sviluppi?

Beh, in fin dei conti poco importa. L'importante è che finalmente siamo arrivati sani e salvi alla fine. Tutto è bene quel che finisce bene.

Dire che a volte la Radcliffe sembra ripetersi e compiacersi in queste ripetizioni è dir poco. Eppure ci sono certi passaggi che tengono col fiato sospeso, che ti fanno perdere il sonno perché devi sapere cosa succederà dopo. Anche la costruzione dell'attesa risulta efficace: fin dalle prime pagine accadono eventi inspiegabili, che rimangono insoluti per capitoli e capitoli. A volte sorge persino il dubbio che la Radcliffe si sia dimenticata di essi e che non avremo mai la spiegazione, ma lei non ci delude mai e nonostante le apparenze, ha una memoria da elefante. Così, magari dobbiamo arrivare all'ultimo capitolo per chiarirci certi accadimenti, ma alla fine i chiarimenti arrivano.

La Radcliffe ha scritto anche un'altra opera ricordata frequentemente nelle liste del romanzo gotico, L'Italiano. Qualcosa mi dice che c'entrano ancora cattivissimi italiani nel romanzo, ma non vi allarmate, per il momento vi (e mi) risparmierò.



E adesso? Da che parte si va?



martedì 17 dicembre 2013

Udolpho tra Italia e italiani



Ann Radcliffe, I misteri di Udolpho, 1794.
Opera in quattro volumi.


Giorgione e Tiziano, Ritratto di nobiluomo veneziano,
 1510 c.
Terzo volume

So far: 

Siamo ancora in Italia e la nostra Emily viene sbattuta tra il castello di Udolpho incastonato negli Appennini e la Toscana, non troppo distante. L'Italia la circonda con tutti i suoi orrori e le sue bellezze.

Che Ann Radcliffe non abbia proprio girato il mondo, l'avevo intuito da quelle palme piantate sulle vette dei Pirenei. Ed infatti le sue biografie raccontano di una vita piuttosto sedentaria, lontana da Pirenei e Alpi, dalla Garonna o dalla Linguadoca e figuriamoci dall'Italia. E probabilmente anche dagli italiani. Come spiegare, altrimenti, l'immagine che esce dai suoi racconti del "gentiluomo" italiano?

Diciamolo, la signora Radcliffe non sembra nutrire una buona opinione del tipo medio italiano: eccessivo, sempre preda delle passioni più sfrenate che inevitabilmente portano al delitto o al peccato, violenti, viziosi.
Non se ne salva uno! O forse uno sì: il fido Ludovico, domestico del cattivissimo signor Montoni, vero eroe di molte situazioni incresciose e amoroso di Annette, la cameriera.

A proposito: di tanto in tanto sulla rete si legge che Emily viene salvata dal suo amore conosciuto in tempi ancora sereni, Valancourt. Ebbene diffidate di simili affermazioni. Valancourt, in questo momento, fa la bella vita a Parigi. Ma non vi svelo altro, se non che è Ludovico che c'entra, e non poco, con la fuga da Udolpho.

  
Caravaggio, I musici, 1595-1596
Altro dato di fatto che probabilmente nasce da un cliché caro alla signora Radcliffe è che in Italia si dorme poco e mai di notte. Allietati da profumi d'aranceti e di mirto, la notte si passeggia vuoi in gondola, vuoi nei bellissimi giardini, a seconda di dove vi capita di trovarvi; si ascoltano stuoli di cantori che sembrano invadere con la loro musica ogni angolo di strada o campagna o canale, si chiacchiera allegramente in compagnia numerosa.
Caravaggio, I bari, 1594-1595.
Questo, naturalmente, se sei un personaggio morigerato. Se sei uno cattivo cattivo, passi la notte tra  tavolo da gioco e complotti e non rincasi se non a mezzogiorno del giorno dopo. Bella la vita, direbbe mio padre.

 
Lorenzo lo vermi, Uva.
 E un'ultima parola la spenderei sul cibo italiano. Cavolo, in questo bel paese gli aranceti abbondano, le greggi non mancano, le mucche muggiscono a distanza, eppure cosa mangiano in preferenza questi ricchi italiani?
Biagio Magliani, Fichi.
Fichi ed uva. Giuro, fichi ed uva! Quando sono stressati e non riescono nemmeno a pensare di potersi sedere a tavola, fichi ed uva; quando sono allegri in compagnia, fichi ed uva; quando vogliono uno spuntino veloce o al pic nic, fichi ed uva.
Ma anche qui c'è una netta distinzione tra gente "per bene" e gente meno "per bene". Se ti capita di essere del secondo gruppo, allora non ti nutri più a uva e fichi, ma a vino, vino e ancora vino.

Bruno Benfenati, Fiaschi.
Concorderete con me che l'ideale italiano della Radcliffe non fa onore ai nostri avi. Ma questo è quanto. Accettiamo rassegnati il nostro ritratto, ma solo perché dubito che il romanzo potrebbe reggersi in piedi se togliessimo al signor Montoni e ai suoi connazionali un po' di quella cattiveria che gli è doverosa sbandierare.

In tutto questo, una domanda mi ha allambiccato la mente per più di qualche capitolo del terzo volume: ma la signora Radcliffe avrà mai mangiato un fico in vita sua?


sabato 14 dicembre 2013

Udolpho tra servette e damigelle



Ann Radcliffe, I misteri di Udolpho, 1794.
Opera in quattro volumi.


Jean-Etienne Liotard, La ragazza del cioccolato, 1744-1745.

Secondo volume

So far:

Emily è stata condotta via dalla sua Francia in un'Italia piena di personaggi eccessivi nelle loro passioni. I suoi affetti più cari sono morti o sono stati allontanati da una zia malvagia e stolta che, tanto per non smentire la sua incapacità di farsi un buon giudizio sulle persone, sposa un italiano, il Signor Montoni, cattivo come il male assoluto e crudele come il diavolo. Il Signor Montoni trascina le sue relazioni acquisite in giro per l'Italia, fino a segregarle nel castello di Udolpho, nel bel mezzo degli Appennini.
Qui, tra lugubri interni semi diroccati, Emily è sola, lasciata in balia di una giovane e simpatica cameriera: Annette, donnina dalla fervida immaginazione, un po' superstiziosa e parecchio loquace.

Frontispizio di Les Mystères d’Udolphe,
 1798, Tomo II, via wikipedia
Annette è un piccolo gioiello nella rosa un po' stereotipata dei personaggi. Non che dimostri di essere meno tagliata e sagomata rispetto agli altri, ma rappresenta un alter ego perfetto della sua giovane signora. Senza contare il suo ruolo di eccellente espediente narrativo, sempre lì a fomentare il pathos orrorifico.

Emily cerca di restare razionale, di ragionare lucidamente e raddrizzare la mente troppo fervida della piccola servetta.
Annette si abbandona alla fantasia più feconda: crede a tutte le storie di fantasmi che sente (e, naturalmente, le riferisce), vede e prevede apparizioni, si abbandona a scenate isteriche e contagia alla fine anche la sua signora.

Emily non osa chiedere spiegazioni a nessuno per non sembrare indiscreta.
Annette, con la solita allegra leggerezza che caratterizza le servette, chiede, osserva, spia e riferisce senza freni. Anzi, non riesce proprio a starsene zitta e la sua signora più volte è costretta a interromperla, persino a farla tacere bruscamente, affinché non sveli segreti che aveva promesso di mantenere.

L'effetto che si ha è quello che anche Walpole cercava di ottenere con l'avvicinamento di personaggi ingenui e personaggi più seri, come gli dettava l'esempio di Shakespeare (vedete qui, se non avete idea di che cosa si stia parlando : ) ); solo che la Radcliffe ha studiato meglio la cosa e mentre Walpole lasciava un po' perplessi nel suo tentativo, la Radcliffe ci riesce bene, spesso ci fa proprio sorridere, se non ridere. Un esempio:

Un tipo losco promette di far incontrare Emily con la zia rinchiusa in qualche remoto antro del castello, a patto che lei lo raggiunga di notte in un luogo deserto e per di più completamente sola. Al che, Emily si interroga: "Perché questo tizio di cui non mi fido mi vuole per forza sola?"

- Perché! Questo è quello che gli ho chiesto io stessa, signorina. Gli ho detto: "Perché la mia giovane Signora dovrebbe venire da sola? Sicuramente io posso venire con lei! Quale male potrebbe mai fare la mia presenza?" Ma lui ha detto: "No - No - Ti dico di no" in quel suo modo burbero. "Beh, - ho detto io - mi sono state affidate confidenze importanti almeno quanto questa e sarebbe proprio il colmo se IO non riuscissi a mantenere un segreto, suvvia." Ma ancora, non diceva altro che "No - No - No". " Oh - ho detto, se solo tu mi dessi fiducia, ti direi un grande segreto che mi è stato confidato un mese fa e su cui non ho ancora aperto bocca con nessuno. Vedi, non devi aver paura di dirmelo." Ma niente, non c'è stato modo di dissuaderlo. [...]  Ma io lo so, Signora, chi vedrete.
- Chi te lo ha detto, Barnardine (il losco figuro, nda)?
- Eh, no, signorina, non me lo ha detto lui.

Emily chiese chi glielo avesse mai detto, ma Annette dimostrò fino in fondo come lei sapesse davvero mantenere un segreto.


È o non è un piccolo capolavoro, la nostra Annette?






mercoledì 11 dicembre 2013

Udolpho tra Alpi e Pirenei



Ann Radcliffe, I misteri di Udolpho, 1794.
Opera in quattro volumi.




Lettura di Udolpho, via Victoria University Library

Volume primo

So far (breve introduzione, tanto per capirci qualcosa):

Il signor St. Aubert, signore francese fissato con le gioie derivate dalla contemplazione della natura, porta la sua unica figlia, Emily, a Tolosa. Ma invece di farle percorrere le comode strade che dalla loro residenza sulle rive della Garonna, in Guascogna, conducono direttamente alla loro mèta, il saggio signore trascina la ragazza per le cime dei Pirenei su una vettura trainata da muli. Non che la giovane sia dispiaciuta in ogni caso. Era l'anno del Signore 1584.

Eccoli qui, i Pirenei. Stupendi, pericolosi, poco praticabili e ad ogni angolo sublimi. Quanti strapiombi e svettamenti, quanti burroni e valli nascoste da foschie, e boschi, e ghiacciai...

Tanto per non farsi mancare nulla, i nostri viaggiatori sbagliano strada, tergiversano e passeggiano allegramente per riempirsi gli occhi di paesaggi raccapriccianti, declamando poemetti di loro composizione, bighellonano incuranti dell'ora che si fa; più di una volta si ritrovano al buio, di notte sulle scoscese, spaventati dal fatto di non riuscire a trovare nemmeno un rifugio di pecorai tra i ghiacciai. Quando si dice l'esperienza NON insegna!

E all'improvviso, quasi inaspettatamente, la visione si riempie del sublime più spettacolare:

Il  profondo silenzio di queste solitudini era interrotto solo a tratti dall'urlo degli avvoltoi radunati intorno a qualche cima più in basso, o dal grido dell' aquila alta nell'aria; faceva eccezione il sordo tuono che a volte mormorava ai piedi dei viaggiatori in ascolto. Mentre al di sopra il profondo blu dei cieli regnava limpido e libero dalla nuvola più leggera, a metà strada, giù per la montagna, lunghi flutti di vapore si accavallavano, a tratti oscurando completamente la valle sottostante alla vista, a tratti aprendosi e rivelando parzialmente le sue fattezze. Emily, deliziata, contemplava la magnificenza di quelle nubi mentre cambiavano forma e tinte e ne ammirava i vari effetti che producevano sul mondo sottostante e i profili della valle che, parzialmente velati, assumevano continuamente nuove forme sublimi.

Morguefile

Valeva la pena di sforzarsi per dar vita a qualche descrizione, vero?

Al prossimo volume. : )



domenica 8 dicembre 2013

Reading in progress



Lo ammetto, sono cascata nella trappola che io da sola mi sono preparata e sono rimasta impigliata nella rete del romanzo gotico. Chi mi ha incastrato?
Questa signora:


Ann Radcliffe via listas.20minutos


Non vi dice nulla? Non ci posso credere!

Credo che il suo I misteri di Udolpho sia uno di quei tipici romanzi conosciuti da tutti, ma solo di nome.
Io lo lessi quando ero ancora una ragazzina che poco aveva visto del mondo e, devo essere sincera, tutto quello che mi è rimasto è il tedioso ricordo di montagne e precipizi. Ben poco, insomma.

L'ho ripreso in mano, un po' per dovere, un po' per curiosità (possibile che di quattro volumi io mi ricordi solo uno sguardo a precipizio sulle valli alpine?) e cosa trovo?

Beh, le Alpi, naturalmente.

Ripreso da themagicfarawayttree.
Diciamo la verità, se ai Misteri di Udolpho togliessimo le descrizioni naturali, cosa rimarrebbe delle 1029 pagine del romanzo?

La cosa complicata sta proprio qui, nelle minute descrizioni. Nomino appena la difficoltà rappresentata dagli elenchi di vegetazione   improbabile (che sui Pirenei ci siano terrazze ombreggiate di palme, mi sembra poco probabile); il più grande scoglio per me sta nel dar forma a tali descrizioni e guardarle, oltre che leggerle. Perché mi rendo conto che saltarle o non dar loro il giusto credito sarebbe come non cogliere pienamente il contenuto del libro.

Ma la difficoltà oggettiva c'è. Burke nel suo trattato sul sublime e sul bello, diceva:
 Lo so che la mente possiede la facoltà di far sorgere queste immagini (quelle descritte nella poesia, nda) a suo piacimento. Ma per far ciò un atto della volontà è necessario; e in una conversazione ordinaria o nella lettura accade molto raramente che una qualsiasi immagine sia prodotta nella mente.
È proprio così, ci vuole uno sforzo per vedersi davanti i bellissimi paesaggi con cui la Radcliffe infarcisce il suo romanzo, uno sforzo che specialmente al giorno d'oggi non siamo abituati a fare.

Catherine Morland legge Udolpho
(ill. di H.M. Brock) via unteconjaneausten
In questo lento allenamento della mente, una lettrice costretta a leggere nei momenti più impensati potrebbe metterci molto prima di raggiungere la capacità richiesta. Aggiungiamoci, come dicevo sopra, che il malloppetto consta di 1029 pagine, ed ecco che si spiega la lentezza generale che assumono le mie letture in questo periodo e che inevitabilmente si riverbera sul diario che è questo blog.

Per evitare, allora, di sparire dalla circolazione, mi sono detta: perché non far partecipe del mio avanzamento quel poveraccio che di tanto in tanto capita in queste mie pagine? Tanto, diciamolo, chi si metterà mai a leggere la Radcliffe?

Ecco qui come nasce l'idea dei Reading in progress. Naturalmente, come sarà forzatamente necessario, queste pagine saranno piene di spoilers e dissacrazioni varie. Quindi, lettore che vuoi sperimentare personalmente le letture riguardanti la nostra eroina Emily, stammi lontano per almeno i tre o quattro post a seguire. Tanto ci vorrà, credo, a smaltire i quattro volumi dei Misteri.

Se invece non credete possibile l'eventualità di subirvi in questa vita anche Udolpho, seguitemi pazientemente. Qualcosa di interessante salterà sicuramente fuori. 


Il cast of Dracula (dir. Tod Browning, 1931), via Orangecrateart





giovedì 5 dicembre 2013

Stacchetto operettistico



Ma non vi manca un pochino il nostro Conte di Montecristo?
"Zitto! Ecco che si rialza il sipario, ascoltiamo. Non perdo una nota di quest'opera, è tanto deliziosa la musica del Guglielmo Tell!"

Eh, sì, è proprio il Conte di Montecristo che parla.
Il Guillaume Tell, per chi non lo sapesse, è un'opera di Rossini (quello del Barbiere di Siviglia, tanto per capirci) ed è anche l'opera che inaugura il Grand Opéra, quel genere operistico che dura una quaresima, pieno di balletti e sfilate, stacchetti e coretti vari.

Senza entrare nello specifico della trama, vi lascio solo un estratto dell'ouverture. Ditemi se non vi sembra di aver già sentito qualcosa di simile. 





lunedì 2 dicembre 2013

La Traviata



Come accennavo nel post precedente, La signora delle camelie ha subìto varie riadattazioni. Una per il teatro, già lo stesso Dumas figlio si era adoperato a produrre. Poi arrivarono Verdi e il suo librettista Francesco Maria Piave che, apprezzando l'opera teatrale, ne ricavarono la loro famosa Traviata del 1853.


 
 

Se vi sfugge di mente la storia, fatevela raccontare dalla Clarina e state certi che non vi annoierete.

Ma adesso, non vorrei avervi intristito. Certo, la storia di Violetta non è tra le più allegre.
Vabbè, se proprio vi sentite salire il magone, guardatevi la reinterpretazione di Gigi Proietti. Sono sicura che vi ritirerà su il morale.