venerdì 29 novembre 2013

Dumas figlio: moralista o autore scandalistico?



Beh, la differenza tra l'etichetta di "moralista" e quella di "autore scandalistico" non è proprio sottile. Eppure entrambe sono state affibbiate a Dumas figlio.

Bisogna spiegare un pochino, perché, detto così, potrebbe sembrare o un bacchettone o un depravato.

Se vi capita di prendere in mano un lavoro di Dumas figlio, non vi aspettate di ritrovarvi davanti ad un'opera come quelle del padre. Niente situazioni avventurose o personaggi eroici. Vi troverete a leggere la storia di persone spesso isolate o gravitanti ai margini della società: la cortigiana, il figlio naturale, la madre sola, l'adultera. Tutta materia reale, cose di tutti i giorni, tanto che il suo teatro viene definito il capostipite del teatro naturalista. Ma questi prototipi ben conosciuti e anche riconoscibili, non vengono additati con un intento moraleggiante. La sua è una denuncia non tanto contro di loro e le loro colpe, quanto contro la falsità o l'indifferenza che il resto della società mostra nei loro confronti. Invece di nascondere e stendere un velo di silenzio su una pratica molto diffusa come quella di mantenere una cortigiana, Dumas mostra quale sia la pratica meschina dell'alta società che non solo le accetta, ma le idolatra, le rende un "fiore all'occhiello" da possedere e di cui vantarsi. Naturalmente a patto che esso non si mischi alla donna per bene, moglie e madre di famiglia che non deve nemmeno incontrare per strada un simile esempio di corruzione. Per questo Dumas figlio viene definito scrittore di scandali, per la materia che trattava e che fino ad allora era piuttosto inusuale.


Ma questo è solo uno dei temi rivoluzionari che Dumas affronta. Noi conosciamo questo in particolare grazie alla sua La signora delle Camelie, opera da cui lui stesso ha tratto un'opera teatrale diventata famosissima grazie a Verdi e alla sua Traviata, ma la varietà della sua denuncia non si ferma di certo alla cortigiana. Ad esempio, ne Il processo Clemenceau abbondano temi che generalmente vengono definiti come legati alla disintegrazione familiare. E allora compare la madre sola che cresce il figlio senza padre, il piccolo bastardo che viene perseguitato dai suoi coetanei, la condanna della legislazione riguardo al mancato riconoscimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, la discussione sul diritto al divorzio in casi gravi quale l'adulterio. Ma ci sono anche accennati altri spunti interessanti, come l'ereditarietà del carattere corrotto dal vizio o la definizione di arte e del Genio. Senza contare che nella trattazione di alcuni di questi suoi temi, l'autore riprende a piene mani episodi della sua stessa biografia.

Le Théâtre illustré. L'affaire Clémenceau,
pièce tratta dal romanzo di Alexandre Dumas figlio,
da Armand d'Artois. Scena ultima del 5 atto: 
disegno di Adrien Marie
Il processo Clemenceau scorre un pochino meno spedito de La signora delle camelie, lo devo ammettere, eppure non riuscivo a staccarmici! La signora delle camelie a tratti raggiunge un pathos lirico degno di essere ricordato e riletto, nonostante le tirate moralistiche (appunto! :D), ma Il processo Clemenceau rivela completamente quale sia il pensiero di Dumas figlio, quale ne sia la poetica e l'ideologia.

Fa strano ritrovare in un'opera ottocentesca una simile unità programmatica che si auspica se non proprio di sovvertire le leggi morali di una società falsamente morigerata, almeno di far risaltare questa falsità di base, auspicando un cambiamento non tanto negli usi, ma nella legislazione che permetta di dare uno statuto, un riconoscimento ai prodotti nati da tali situazioni (l'obbligo, ad esempio, da parte del padre di riconoscere per legge il figlio naturale) . E fa anche strano vedere poi come tutte quelle che erano proposte o tesi, al giorno d'oggi si siano realizzate.

Che ci fosse un piano oscuro di sovversione del mondo, dietro?

martedì 26 novembre 2013

Alexandre Dumas fils



Oggi partiamo alla scoperta di un altro Dumas: Alexandre Dumas figlio.


Alexandre Dumas Fils. Immagine da
http://www.wikigallery.org/
Penso che non si possano creare dei personaggi senza aver studiato a fondo gli uomini, come non si può parlare una lingua che a patto di averla imparata seriamente.
Non avendo ancora raggiunto l'età nella quale s'inventa, mi accontento di riferire.*
Ed in effetti, la maggior parte non dico dei personaggi, ma almeno dei temi che tratta e narra nella sua opera, Alexandre Dumas figlio li riprende dalla sua esperienza di vita.

Allora scorriamola, almeno a grandi linee, questa vita.

Se si spulcia un po' su google alla voce A. Dumas figlio appariranno una serie di blog e siti che riportano tutti le stesse notizie, quasi le avessero tagliate e incollate da una unica fonte. Probabilmente quel "quasi" lo potremmo anche togliere, ma non mi voglio soffermare su questa curiosità, quanto sul fatto del come venga trattata la suddetta vita.

Giovane Alexandre Dumas padre,  
Eugene Delacroix.
Di avvenimenti importanti non è che ce ne siano poi molti. Nato per caso da una relazione occasionale del giovane Dumas Padre con la sartina dirimpettaia, non viene riconosciuto né dalla madre, né dal padre fino ai suoi sette anni. A quest'epoca il padre, e dopo una settimana la madre, lo riconoscono, litigano e vanno in tribunale per reclamare l'affidamento. Vince il padre, che lo toglie alle cure della madre e lo mette in collegio.

Questo evento, o meglio, questa serie di eventi, segnerà la vita del ragazzo. Beh, difficile pensare il contrario. Ah, e non dimentichiamoci che per questo proverà un profondo rancore verso il padre per il resto della sua vita. Non riusciva proprio a perdonargliela. Del resto, lo aveva allontanato dalla madre amorosa e lo aveva messo in collegio per dargli una degna istruzione, ma si sà, anche nei migliori collegi i ragazzini sono ragazzini e se per caso ti ritrovi in classe con un "bastardo" - ops - figlio naturale, beh... diciamo che non ci si va per il sottile.

Eppure, leggendo qua e là qualcosa di Dumas figlio, uno si accorge di un paio di cosette che dal racconto biografico frettoloso non emerge. Ad esempio, lo sapete che questa figura del padre, come anche del figlio naturale, salta in continuazione nei suoi lavori? E lo sapete che la figura che ne fa il padre non è quella dell'odiato genitore, ma è piuttosto quella dell'uomo in balia delle sue passioni, che adora ed è adorato dal figlio ma che allo stesso tempo diverge profondamente sulla visione della vita e che questa è la causa delle tante incomprensioni che bene o male si risolvono positivamente?

Almeno questo è quello che ci racconta la commedia Un padre prodigo, rappresentata per la prima volta il 30 novembre 1859. Ebbene, leggendolo si capiscono molte delle dinamiche tra i Dumas padre e figlio e soprattutto si ha un ritratto impressionante e, a quanto posso riscontrare da altre fonti, veritiero del carattere di Dumas padre. Mi viene da pensare, quindi, che in effetti Dumas figlio poteva avere dei motivi di conflitto col padre, ma allo stesso tempo aveva imparato se non ad apprezzarlo per il suo stile di vita, almeno ad amarlo per la sua bonomia.

Un altro evento che condizionò la produzione di Dumas figlio è senza dubbio la sua tresca amorosa con la cortigiana Marie Duplessis. Con lei, Dumas ebbe una breve relazione dal settembre 1844 all'agosto 1845, ma tanto bastò per rimanere fortemente colpito dalla realtà in cui la sua amante brillava, dalla sua morte e da tutto il mondo che girava intorno a queste donne tenute al margine della società, ma che comunque la decoravano e la ispiravano.
Marie Duplessis,
ritratta da Camille Roqueplan

Inutile menzionare La signora delle camelie (1848) come l'opera che ritrae e celebra Marie Duplessis, sarebbe banale ricordarlo.

Pochi altri fatti sono importanti nella sua biografia, almeno ai fini della sua produzione.
Per non appesantire ulteriormente il mio discorso, lascerò che siate voi a decidere se sia il caso di approfondire. Tanto, come dicevo, internet è pieno della (stessa) biografia di Dumas figlio. :D


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* Con queste due frasi si apre La dame aux camelias, scritta nel 1848.

sabato 23 novembre 2013

Stacchetto castellano



Se vi capita di trovarvi nel Salento e volete andarvi a vedere per curiosità il famoso castello d'Otranto, non vi aspettate di trovare l'originale del romanzo di Walpole. Purtroppo nel 1480 arrivarono i Turchi che, come al solito, non ci andavano leggeri. Distrussero il castello e uccisero gli 800 prodi che lo difendevano, lasciando poche rovine dietro di loro. Tra il 1485 e 1498 Ferdinando D’Aragona lo fa ricostruire e quello di oggi è il risultato dei vari interventi successivi. È un'esperienza particolare passeggiare per le sale dei vari piani, perché non è facile orientarsi. In effetti, il castello è costruito proprio con l'intento di disorientare chi vi entri per la prima volta. Sapete, in caso i Turchi dovessero ritornare...




Anche la mappa del castello è particolare: tre torrioni, uno sperone, il mare da una parte, un fossato dall'altro. Non male in fatto di suggestioni.


   
Giorgio De Chirico, Piazza d'Italia

Oggi è aperto al pubblico solo durante la stagione estiva e tutti gli anni ospita una mostra diversa. L'anno scorso c'era Andy Warhol, quest'anno De Chirico.


Andy Warhol, Marilyn Monroe




Inauguriamo il tour d'Italia dal Castello d'Otranto e dalla stupenda Otranto, il punto più ad oriente della nostra penisola?



mercoledì 20 novembre 2013

Il Castello d'Otranto di Horace Walpole



Tutti gli studiosi, unanimamente, concordano nell'attribuire una grande importanza al trattato sul Sublime e il Bello di Burke nella creazione del nuovo gusto romantico. E, naturalmente, anche in quella del romanzo gotico. Ed eccomi tornata in qualche modo, barando forse un pochino, al punto di partenza: The Castle of Otranto di Horace Walpole.

Immagine ripresa da Spontis
In effetti, non c'è bisogno di essere grandi studiosi per rintracciare gli elementi che creano l'idea del Sublime nei romanzi gotici in genere e ne Il Castello d'Otranto in particolare: le grandezze raccapriccianti, l'oscurità, le linee spezzate dei paesaggi drammatici e delle costruzioni...

Ma se questo gusto per il Sublime può essere uno degli stimoli da cui prende forma il nuovo genere, di sicuro non resta il solo.

Quando Horace Walpole, dopo il primo successo de Il Castello d'Otranto del 1764, pubblica una seconda edizione, oltre a scusarsi per aver ingannato il suo pubblico attribuendo l'opera ad un manoscritto italiano medioevale, svela anche il vero motivo che lo ha indotto a scrivere. Ormai è cosciente del fatto che il suo romanzo stia dando vita ad un nuovo genere diverso dai vecchi  in modi diversi.

Immagine da considertheevidence
Il primo di questi modi è la trattazione dell'invenzione narrativa.
Walpole, imbevuto di reminiscenze gotiche e medievali, ha un debole per il romance* medievale, lo ammette senza problemi. Ma pur essendo affascinato dalla scatenata fantasia che lo anima, non ne nega i limiti. In esso tutto era immaginazione, tutto si sviluppava con la condiscendenza dei personaggi che non vedevano niente di bizzarro nell'improbabile in cui erano calati, ma anzi, ci si adeguavano con dialoghi e reazioni innaturali, a loro volta improbabili.
Al contrario, nel romanzo moderno (novel) tutto aderisce alla realtà razionale e, pur non essendo privo di invenzioni narrative, non conosce quel guizzo dell'immaginazione che eccita la fantasia.

Sentendo questa discrepanza come una mancanza, Horace Walpole compie un esperimento: cerca di amalgamare i due tipi di narrazione in qualcosa di nuovo, che permetta ai personaggi di muoversi in una realtà fantastica, pur sfoggiando una sensibilità moderna. Grazie ad essa, trovandosi di fronte a questo strano e orrorifico fantastico, i protagonisti non parlano più a vanvera, ma agiscono come un qualsiasi uomo moderno potrebbe fare: con stupore, terrore, meraviglia.


Il secondo modo in cui il suo tentativo diventa originale riguarda il melange dei registri adottati. Sempre nella seconda prefazione traspare anche l'apprensione che Walpole provava nel dover giustificare non solo un esperimento di genere, ma anche di stile.
Già nella prima edizione aveva previsto quali potessero essere gli argomenti contro il suo romanzo e li aveva anticipati. Ma è nella seconda che prende con più determinazione le difese del suo stile che, come lo stile Shakespeariano a cui si rifà, si abbandona a scene di tensione drammatica aspiranti al Sublime (sostenute dai personaggi principali) a scene quasi comiche, che nelle sue intenzioni hanno il compito di accrescere tramite contrasto la drammaticità complessiva (reazioni "ingenue" dei personaggi secondari: la dama di compagnia, i paggi, etc.). Miscuglio di stili non proprio apprezzato da Voltaire e compagnia bella, come ci dice l'autore stesso, ma che assumono il benestare dall'esempio autorevole di Shakespeare. E tanto basterebbe ad eliminare ogni discussione.

E poi, ammettiamolo, l'autore non aveva tutti i torti dicendo:

Avrei potuto affermare che avendo creato un nuovo tipo di romanzo, ero libero di formulare per esso le regole che ritenevo più adatte;
Insomma, il romanzo è mio e me lo faccio come piace a me! Ma, certo, l'aver "copiato" i modi di Shakespeare nobilita, se possibile, l'intento dell'opera e ne giustifica i modi.

Che il genere abbia poi avuto il plauso del pubblico, mi sembra inutile persino accennarlo. Guardate quanti vampiri e vampiretti, per non parlare di Zombies e Lupi Mannari girano tra le serie Tv e gli scaffali delle librerie virtuali e non. Se Horace Walpole non avesse compiuto il suo esperimento, forse non avremmo avuto tutta questa bella popolazione sovrannaturale a rallegrarci nelle notti di Halloween. O forse non ancora.


Johnny Depp in Dark shadow, 2012.



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* Romance(1) :  un racconto medievale basato su leggende, amori e avventure cavalleresche o sul soprannaturale; (2) :  una narrativa in prosa trattante personaggi immaginari coinvolti in eventi lontani nel tempo o nello spazio e generalmente eroici, avventurosi o misteriosi.


domenica 17 novembre 2013

Il Sublime: questo sconosciuto



 Il SUBLIME!

Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich.

Quante volte mi è capitato di imbattermici, di vederlo accostato a Romanticismo e Gotico?
Un'infinità.

E quante volte, pur leggendo le definizioni di studiosi o affini, sono rimasta perplessa davanti al suo senso?
La stessa infinità.

Il castello Alnwick, William Turner (ca. 1829).
Immagine ripresa da Victorian British Painting
Eh, ma ve l'ho detto. Sono a digiuno di filosofia!

Eppure, tutto sommato, è semplice. Più di quello che molti tentativi di spiegarlo vogliono dimostrare.

Prima di tutto, bisogna scrollarci di dosso il comune significato che diamo al giorno d'oggi alla parola "sublime". Via, resettiamone il campo semantico e partiamo da capo.

La maggior parte delle persone che cerca di spiegaro prende come punto di riferimento questa frase:
Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore è fonte del sublime.
Ok, ma questo non spiega cosa sia questo Sublime. O mi sbaglio? Anzi, uno potrebbe anche essere fuorviato e indotto a pensare che il Sublime sia il terrore.
No, non lo è. O almeno non solo.

Il Sublime, fratello oscuro del Bello, è una categoria, un'idea. Si potrebbe dire che Sublime e Bello siano due facce della stessa medaglia. Ma mentre il Bello trae la sua origine dal piacere, il Sublime la trova nel dolore, o meglio, nella paura che il dolore e la morte in ultima istanza ci fanno sperimentare. Se il pericolo per la sopravvivenza che scatena tali reazioni è reale e vicino, il nostro sentimento resta puro terrore, cosa diversa dal Sublime. Ma se tra noi e la reale minaccia c'è una distanza e quindi non corriamo alcun pericolo prossimo, scaturisce in noi una sorta di piacere che non è un piacere positivo, ma è quello che Burke definisce delight. Chiamiamolo delizia? Diletto? Non so come i filosofi italiani lo traducano, ma a me suona bene delizia.

Ok, faccio un passetto di lato e riprendo quel "piacere positivo" che per me voleva dire poco e niente fino a quando Burke non me lo ha spiegato (Mamma come mi sento ignorante!).

Immagine di Karpati Gabor
Burke presuppone che il caro Locke, che parla anche lui di piacere e dolore, non ci avesse proprio azzeccato quando definiva piacere e dolore rispettivi contraltari. Locke diceva, in soldoni, che piacere e dolore erano le passioni che dominavano l'uomo. Quando non c'è piacere, deve per forza esserci il dolore a sostituirlo e viceversa.
A Burke non convince molto questo rapporto diretto dolore-piacere. Secondo lui e la sua esperienza, noi partiamo da uno stato di indifferenza. Poi ci cadono addosso le cose o gli avvenimenti e allora questo stato passa o al piacere (positivo), o al dolore (positivo). Ma nota anche che è vero, quando dal dolore ripassiamo allo stato di indifferenza, ci sembra di provare una sorta di piacere, ma non è della stessa pasta del piacere positivo; è quello che lui tende a chiamare delight.

Ed ecco che la spiegazione di Sublime raggiunge un suo compimento. Esso è qualcosa che nasce dall'anticipazione di dolore, pena o morte, ma che porta con sé anche un senso di delizia, vuoi perché il pericolo non è reale, vuoi perché è un pericolo fisicamente lontano. In esso non c'è un vero piacere positivo, ma una sorta di piacevole sconquasso emotivo.

Quindi, il Sublime è alimentato da tutto ciò che ispira terrore, ma che comunque non mette in pericolo la persona. In più, mettiamoci pure che è la sensazione più forte che l'uomo è capace di sperimentare perché va a stuzzicare il nostro istinto di sopravvivenza.

Devo ammettere che ho faticato un pochino a classificare questo Sublime. Anche perché a volte si ha la vaga impressione di avere a che fare con un'idea, una categoria, altre con un sentimento, una "passione", o ancora una qualità.

In ogni caso, Burke fa le cose fatte bene e ci dona persino indicazioni e spiegazioni che ci permettono di identificare gli oggetti e le situazioni che alimentano il Sublime (l'oscurità, la vastità, la discontinuità etc., etc.) e tenta persino di spiegare razionalmente il come esso possa agire a livello fisico e psichico. Insomma, un vero razionalista che tenta di spiegare la poetica del futuro Romanticismo. :D

Bene, per oggi credo di aver esaurito i miei argomenti. Ormai penso che si sia capito in che direzione vorrei continuare. E soprattutto vi prometto, basta con i filosofi, almeno per un po'. 

giovedì 14 novembre 2013

A caccia del Sublime




Edmund Burke, studio di Joshua Reynolds

I only desire one favor - that no part of this discourse may be judged of by itself, and independently of the rest.
"Chiederei solo un favore - che nessuna delle parti di questo discorso sia giudicata da sola, indipendentemente dal resto."
È questo che chiede Edmund Burke, nel suo A Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and the Beauty. E io l'ho accontentato, l'ho letto tutto. Perché?
Beh, ad un lettore un pochino più sperimentato sarà subito evidente da dove parto per arrivare dove. Per gli altri, non anticipo nulla.

Immagine da arantxaalcubierre
Vi dico solo che Edmund Burke scrisse questo trattatello filosofico nel 1756 e lo ampliò l'anno seguente.


Io, devo ammetterlo, sono abbastanza a digiuno di folosofia. Non l'ho mai studiata seriamente e le poche nozioni che ho sono piccole briciole raccolte qua e là. Spaventata un pochino dal titolo di trattatello filosofico, ho pensato bene di scaricarmi la versione italiana. Se non capisco niente di filosofia, figurati se ci capisco qualcosa di filosofia spiegata in un inglese del XVIII secolo!

Scaricata la versione elettronica di una delle biblioteche virtuali di cui mi servo di più (non ricordo se Project Gutenberg o Internet Archive), inizio a leggere l'introduzione e dopo nemmeno una pagina mi scontro con un paio di difficoltà.

La prima: la versione è piena di errori, lettere trascritte con altre lettere che c'entrano poco e niente, che quindi formano parole storpie e indecifrabili e che aumentano infine la difficoltà di comprensione.

La seconda: doveva essere la prima traduzione in italiano del trattato, una che almeno almeno risaliva alla fine del '700. Immaginate una lingua così arcaica da rendere ancora più oscuro il significato del pensiero che spiegava.


   
E. Burke, Introduzione




Siccome sono decisa a proseguire per questo sentiero, mi sono andata a  cercare l'originale, convinta che difficilmente poteva essere più complicato della versione italiana. Ed infatti, sin dalle prime righe, un raggio di sole  illumina le parole, il pensiero diviene chiaro e semplice: lo capisco! Capisco senza difficoltà persino il senso di quello che l'autore scrive!

Da qui una riflessione mi è venuta spontanea lì per lì: quanto la nostra lingua si è evoluta in due secoli e quanto l'inglese, invece, è rimasto immobile, quasi immutato?

Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, 1790.
Se non fossi presa da altri labirinti, mi potrei anche perdere nella storia della lingua dei nostri paesi, che poi è anche storia delle nazioni. Ma si andrebbe troppo lontano e si sconfinerebbe in altri reami. E siccome al momento traggo più diletto dal romanzesco che non dallo storico, abbandono questo sentiero appena accennato: non farò come quella sciocchina di Cappuccetto Rosso che si infila sotto le grinfie del lupo e continuo a testa bassa per la mia strada.


Cappuccetto Rosso e il Lupo, preso da qui

lunedì 11 novembre 2013

Stacchetto grottesco



Oggi non abbiamo più il gusto delle passeggiate in giardini decorati da grotte, ma fino al secolo scorso (leggi Ottocento) le grotte erano un must nei giardini eleganti di tutta Europa.

Già i romani le adoravano e le seminavano un po' ovunque.Ma loro avevano la scusa di porci le divinità e di usarle come luoghi di rito. Naturali o artificiali, tutto andava bene.





L'uso di costruire grotte in giardino si andò poi perdendo nei secoli del Medioevo, ma come non riscoprirle durante il rinascimento? E, siccome le grotte umide e zozze erano poco auliche, riprendendo rari esempi classici, si pensò di decorarle con pietre e minerali luccicanti, mosaici, ingegnosi giochi d'acqua e chi più ne ha più ne metta.
Un esempio illustre lo dona la Grotta del Buontalenti, nel giardino di Boboli a Firenze, quella nel video. 



Ma la tradizione della grotta non si spense affatto nei secoli successivi. Al contrario, contagiò un po' tutta Europa. Arrivò persino in Inghilterra, nel 1700. Ma qui, giustamente, si pensò che l'effetto migliore non era dato dagli elementi decorativi sfarzosi, ma dalla brutale naturalità calcolata degli antri grotteschi. Così i giardini anglosassoni si riempiono di caverne, suggestive nella loro cruda simiglianza alle naturali grotte.

Grotte e rovine nel Giardino Inglese del Castello di Chantilly

Il gusto per le grotte rimarrà in auge per tutto l'800 e solo nel '900 si perderà un pochino l'abitudine di passeggiare tra caverne e grotte artificialmente eleganti.











sabato 9 novembre 2013

Strawberry Hill House



Visto che stiamo parlando di dimore singolari edificate da scrittori altrettanto particolari, oggi vi mostro un'altra casina da sogno - o forse da incubo: Strawberry Hill House.


Strawberry Hill House, Sven Klinge, London Bytes

Strawberry Hill fu voluta fortemente da Horace Walpole, lo scrittore che inaugura il genere gotico col suo "Il castello d'Otranto", ma anche il neogotico in architettura.


Foto di Sven Klinge, London Bytes
Nel 1747 Walpole compra un piccolo cottage con annessi solamente 5 acri di giardino e dal nome... diciamo non proprio sublime: Chopped Straw House (la casa della paglia tagliuzzata). Come prima cosa, ancor prima di immaginare la grandezza della dimora che ci vuole costruire sopra, il nuovo proprietario stabilisce che il nome deve cambiare. E così, scartabellando qua e là, trova che in un documento di proprietà precedente quel terreno era chiamato Strawberry Hill Shot (Angoletto o buchino della Collina delle Fragole). Beh, vuoi mettere la paglia tagliuzzata contro la collina delle fragole?

Una volta stabilito il nome, Walpole si mise sotto per ingrandire la proprietà e forgiarla a suo gusto, in modo che potesse ospitare la sua vasta collezione di antiquariato. Dai 5 acri di giardino che possedeva, arrivò a 46, per non parlare della costruzione in se stessa.

Interno: la galleria

Non ci mise un attimo, come accadde al Castello di Montecristo di Dumas, ma a varie riprese, partendo dal 1749 (1760, 1772, e 1776), riuscì a costruire un castello-cattedrale  in stile gotico dagli interni davvero impressionanti.

Una volta morto Walpole, nel 1797, la proprietà passò ai discendenti che la spogliarono a più riprese dei suoi tesori fino al 1923, quando il college di St Mary lo comprò. Solo nel 2007 fu ricomprato dal Strawberry Hill Trust che lo ha riportato allo splendore e lo ha aperto al pubblico.

Che dire?
Degna opera del padre del romanzo gotico! 

Se vi capita di passare per Londra, andatelo a visitare, mi raccomando! Io, pur avendoci passato un po' di tempo in quella "amena" cittadina, me lo sono perso. E non potete capire come mi dispiace ora.

Se, invece, pensate che non vi capiterà di farci un salto, guardate questo bellissimo video. Un po' lunghetto, ma stupendo nel catalogo delle immagini.

 


Nella parte finale del video viene riportato questo stralcio scritto da Walpole nel 1761:

My buildings are paper, like my writings, and both will be blown away ten years after I am dead. If they had not the substantial merit of amusing me while I live, they would be worth little indeed."
"I miei edifici sono di carta, come i miei scritti, ed entrambi saranno spazzati via in dieci anni dalla mia morte. Se non avessero il merito sostanziale di divertirmi mentre sono vivo, essi avrebbero poca importanza davvero."
 Diciamo che il nostro scrittore e architetto non era esattamente noto per la sua lungimiranza. :D
 

giovedì 7 novembre 2013

Il Castello di Montecristo



Vi ricordate che una delle cose che mi aveva incuriosito di Dumas padre era il suo Castello di Montecristo? Eccolo qui, la casina di campagna che si fece costruire appena guadagnate due lire, dopo il successo de Il Conte di Montecristo e soprattutto de I tre moschettieri.


Il castello di Montecristo. Foto da Wikipedia

Per sfuggire alla caotica vita parigina, Dumas si ritira in un angolino di campagna dove poter lavorare con più tranquillità. Non lontano dalla capitale, scopre un delizioso posticino: Port-Marly, Yvelines, sulla Senna. È qui che il suo castello deve sorgere.

Dumas non perde tempo. Dona il compito di realizzare la sua dimora a Hippolyte Durand che in quattro e quattr'otto la tira su secondo le indicazioni del proprietario stesso e il 25 luglio del 1847 si inaugura il castello di Montecristo con una gran festa.

Peccato che la permanenza di Dumas in questo angolo fiabesco duri poco. A causa dei debiti accumulati deve cedere il castello già nel 1849, anche se continuerà a starci fino al 1851, data in cui scappa in Belgio proprio a causa dei suoi creditori.

Naturalmente, il castello col tempo ha subìto la stessa sorte che subiscono le opere d'arte rimaste orfane: cadde in rovina. Solo alla fine del secolo scorso ci si è ricordati di lui e, subodorando il possibile affare, venne rimesso a lucido e aperto al pubblico, che naturalmente non disprezzò l'iniziativa.

Questa è in breve la sua storia.

E adesso la parte migliore!

Il Castello di Montecristo è in stile rinascimentale, con le facciate interamente scolpite in motivi di varia natura: floreali, geometrici, etc, etc.

Foto ripresa da Tripadvisor


Foto ripresa da Wikimedia
Sulle finestre del piano terra ci stanno a guardare i volti di scrittori drammatici di tutte le epoche e sulla porta principale eccolo lì, il padrone di casa ci attende.


In cima alla facciata vediamo lo stemma della famiglia Davy de la Pailletterie e il motto di Alexandre Dumas: J'aime qui m'aime (Amo chi mi ama).


Foto ripresa da Wikimedia

Le vedete le tre aquile con l'anello? Non potete capire quanto le ho cercate al tempo dello stacchetto araldico! :D

Foto ripresa da Wikimedia


Adesso che conosciamo l'ecletticità dal nostro scrittore, possiamo supporre che si accontentasse di un unico stile, nella sua dimora?
Ma certo che no!
Ecco il salone moresco che, oserei dire, fa molto atmosfera ma non c'entra nulla con l'esterno.



E qua sotto il capolavoro: il Castello d'If. Questo era stato concepito come lo studiolo dello scrittore, il rifugio in cui dedicarsi unicamente alle sue opere.


Foto ripresa da Wikimedia

Ancora Wikimedia
Puro stile neogotico.

Se ci fate caso, sulle pareti ci sono incastonate piccole lapidi con delle iscrizioni. Sono in tutto 88 e sono i nomi delle sue opere.





Il parco è curato in perfetto stile inglese, con grande varietà di vegetazione scelta proprio da Dumas, e di qua e di là sono state piazzate grotte, cascatelle e fontane.

Foto ripresa da Wikimedia

Sul blod I viaggi di Raffaella ci sono delle foto molto belle, oltre che ad alcune info di ordine pratico che vi saranno utili quando vi capiterà di passare per Parigi e farete un piccolo detour verso Port-Marly (beati voi! :D).

Certo, ripensandoci, stiamo organizzando proprio un bel tour: le catacombe di Parigi, il Castello di Montecristo...



martedì 5 novembre 2013

Stacchetto oppiaceo




Una delle tante stranezze di Lady Caroline Lamb: faceva uso di laudano.

Ma...
Vendita di laudano, foto da Frances hunters

Ma non era la stessa sostanza prescritta a tre quarti della nobiltà inglese da medici e farmacisti?

Ehm...

Beh...

Sì, in effetti.

Siccome ammetto la mia ignoranza in oppiacei e droghe simili (ma anche diverse), sono andata ad informarmi.

Il laudano, anche detto tintura di oppio, è un composto a base di alcool e oppio con effetti narcotici. Tra i tanti effetti collaterali c'è anche l'assuefazione fisica e psicologica.

Veniva prescritto un po' come il nostro Prozac o affini e gli effetti dovevano essere simili.


Collana con bottiglia di laudano (trovata su Etsy)

Sarà stata anche drogata, ma era in buona compagnia, la nostra Lady Caroline Lamb. 



domenica 3 novembre 2013

Lord Ruthven in persona





Ella cammina nella bellezza

Ella cammina avvolta di bellezza, come la notte
d’aria senza nubi e cieli stellati;
e quanto è di meglio nella luce e nell’oscurità
s’incontra nel suo aspetto e nei suoi occhi:
addolcito tanto da trasmutarsi in quello splendore soave
che il cielo nega al giorno.

Una sfumatura in più, un raggio in meno
avrebbero forse alterato quella grazia ineffabile
che ondeggia nella sua treccia corvina
o le rischiara dolcemente il volto;
dove i pensieri sereni e puri rivelano
quanto sia onesta e cara la dimora abituale.

Su quella guancia, e sopra la fronte così mite,
così tranquilla ed eloquente a un tempo
è il sorriso che avvince e il brillante incarnato
che narra di giorni spesi nel bene
di uno spirito in pace con tutte le terrene cose
e di un cuore il cui amore è innocente.

Questo è Lord Byron. Lui, Lord Byron, che sembra abbia composto questa poesiola per la sorellastra Augusta Leigh da cui ebbe una figlia e che fu l'unica donna per cui provò un affetto costante fino alla fine dei suoi giorni.

Evvabbè, non fate quella faccia, ve lo avevo detto che era un pochino particolare in fatto di innamoramenti. Ok, diciamo che era particolare in un bel po' di cose.

Speculazioni sulla sua natura e psicologia ne sono state fatte tante. Lo hanno catalogato come libertino, adultero, incestuoso, bisessuale quando non omosessuale, anoressico e bulimico, rivoluzionario indipendentista...

Mettiamoci anche che era zoppo, che sua madre era una pazza crudele che ha reso la sua infanzia un inferno, che aveva una parlantina affascinante ed era un padre modello...

Insomma, ce ne sarebbero di cose da scoprire su questo personaggio.


Lord Byron, Henry Pierce Bone, 1837

La sola cosa che mi frena è che in tutta umiltà ammetto che a me la poesia non fa impazzire e men che meno la poesia romantica. Mettiamoci poi che questi poeti romantici inglesi riempiono le loro liriche di Thou e Thee e Alas, di descrizioni della natura piene zeppe di termini desueti e nomi di fiori ormai scomparsi dalla faccia della terra ed ecco che si spiega la mia avversione per la poesia byroniana. 

Nonostante ciò, non precludo nessun passaggio segreto e non escludo di poterci tornar sopra, o caderci dentro, prima o poi. Chi lo sa?

Prima di chiudere, torno all'inizio con una bella capriola per spendere due parole sul video.


Le scene in cui è incastonata la bellissima recitazione de She walks in Beauty sono quelle del film Pride and Prejudice del 2005. Sebbene il carattere del romanzo di Jane Austen è quanto di più lontano ci possa essere dal romanticismo byroniano, il film del 2005 ne riprende in pieno le atmosfere romantiche. Naturalmente quello che ne esce fuori è una rielaborazione che ha poco e niente dell'originale, eccezion fatta per la trama sbrigativamente trattata per esigenze di tempo. Non per questo, anzi, proprio per questo, l'accostamento Austen-Byron del video ha una sua ragione d'essere che in altri contesti sarebbe complicato giustificare.


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